Evola, il celebre e controverso artista, filosofo ed esoterista romano, torna in libreria con Julius Evola e l’utopia della Tradizione, di Giovanni Sessa, in una veste nuova: una declinazione filosofica che del tradizionalista sottolinea la profondità speculativa e l’originalità teoretica. Una originalità che, si badi bene, non sottrae il nostro al legame con un’ampia tradizione di pensiero di caratura internazionale, foriera di una prospettiva altra, antimoderna, che potremmo ulteriormente definire inattuale (Nietzsche), postuma (Cacciari), eccentrica (Alvi), analogista (Calasso).
In connessione feconda con Friedrich Nietzsche, Carlo Michelstaedter, Martin Heidegger, Giorgio Colli e Andrea Emo, nonché con il pensiero italiano contemporaneo di Massimo Donà e Romano Gasparotti, Evola si mostra quale affascinante e radicale pensatore di Tradizione – mitografo di una Utopia sempre possibile nell’estatica, eterna vigenza dell’attimo che si fa Origine.
È questo “Evola filosofo” a emergere dal saggio di Sessa (con prefazione di Massimo Donà, Oaks, Sesto San Giovanni 2019): muovendosi con piglio rizomatico attorno a numerosi temi – dall’idealismo magico alla questione filosofica della negazione, dal rapporto con Massimo Scaligero a quello con la cultura tedesca, sino ad approfondire la sua “metafisica dell’alpinismo” – il volume propone una ermeneutica di Evola rivolta ad almeno due obiettivi: inserire il pensatore all’interno della discussione filosofica contemporanea e mostrare il “da pensare” della sua opera, anche oltre la “lettera” del magistero evoliano.
Alcuni “evolomani” – come il Barone stesso era solito chiamare con irrisione gli idolatri della sua persona – avranno forse da risentirsene. Eppure Sessa coglie in profondità quando scrive, ad esempio, che «Evola, nell’elaborazione teoretica dell’indeterminatezza del principio (…) recupera l’idea dell’essere come possibilità, come natura anceps, la duplicità di essere e non-essere, in una parola, (…) l’idea del principio come assoluta libertà». Più che re-azionario, dunque, il suo è pensiero dell’azione par excellence.
Riflettere allora su acute intuizioni – come la definizione della filosofia evoliana in termini di transidealismo, transattualismo o ultranichilismo –, riprendere una chiave interpretativa, interna agli studi di Evola ma spesso minoritaria, come quella rappresentata dalla “linea” Melchionda-Lami-Damiano, operare entro una prospettiva di superamento della logica dualista entificante e del principio di non contraddizione: sono solo alcune delle prospettive squadernate dal saggio di Sessa.
A emergere, in ultima istanza, è una radicale filosofia della libertà – intendendosi la libertà come quel «processo dinamico includente affermazione e negazione, la possibilità assoluta». Infatti, in Evola «tale libertà è un “potere” originario, e per questo, sempre presente e possibile: la pura e assoluta libertà non può essere che puro potere, il potere di prendere e abbandonare ogni forma». È proprio questo, conclude Sessa, a rendere «il Cosmo una fenomenologia della presenza».