Il ritorno, sugli scenari contemporanei, dell’arte figurativa è un fenomeno culturale di notevole portata. IlGiornaleOFF lo documenta da tempo, indagando le tracce, sul suolo italico, di un processo dal respiro internazionale. Alla geografia dei continenti artistici sommersi che oggi stanno riemergendo appartiene anche la mostra #NOPIXEL – arte al limite. Maestri dell’Iperrealismo italiano, organizzata presso la Pinacoteca “G. Bellini” di Sarnico con il patrocinio del Comune (26 aprile-9 giugno 2019). L’esposizione collettiva, coordinata dall’Associazione culturale sarnicese “Il Ponte” e curata da Massimo Rossi, riunisce un nutrito numero di artisti che hanno individuato la propria cifra stilistica nel filone iperrealista. A spiegare la genesi di questo orientamento è proprio il curatore Massimo Rossi: «L’iperrealismo nasce come movimento artistico negli anni ‘70, negli Stati Uniti, e si diffonde in Europa – oggi con una forte presenza anche in Italia. Derivato dalla pop art, il fenomeno è designato inizialmente come fotorealismo. La parola “Hyperréalisme” è stata coniata dal gallerista Isy Brachot nel 1973 e ha dato il titolo alla mostra di Bruxelles dei maggiori esponenti del movimento americano ed europeo».
Le divergenze degli artisti esposti a Sarnico, in materia di poetica ed estetica, sono rilevanti. Ma ad accomunarli è una sensibilità di fondo che può ambire a farsi “visione del mondo”. La caratterizzano infatti alcune costanti che, a fronte di tante trovate pseudo-avanguardiste e di altrettanti deliri post-neo-ultra concettuali, sanno di maestria tecnica, consapevolezza culturale, passione sincera – forse un po’ naive, ma di certo autentica – per l’arte e la tradizione occidentale – con la sua vocazione per la ricerca del reale, nella sua datità pura ed elementare. All’interno della mostra, allora, gli oggetti quotidiani dipinti da Andreas Bianchi dialogano con l’imponente scultura raffigurante un rinoceronte di Stefano Bombardieri; i fiori di Paolo Campa, che riecheggiano la goethiana ricerca delle forme originarie (Urformen), si intersecano ai volti di DiegoKoi, rispecchiano le architetture di Marco Martelli, si armonizzano con le atmosfere esoteriche suscitate dal “terzo occhio” firmato da Alessandro Bulgarini e con la sacralità che prepotente emerge dal San Nicola di Bari di Giovanni Gasparro.
Se all’apparenza queste opere, nel loro realismo figurativo, si ricollegano a un fil rouge estetico che rimanda al passato, l’obiettivo del percorso espositivo è tutto rivolto al presente (e al futuro). La mostra intende infatti mostrare come anche nell’èra di Instagram, nella nostra epoca segnata dalla morte dell’immagine artistica e dal proliferare dei suoi simulacri, nell’“imagocrazia” che dimentica il potenziale del simbolo e lo annacqua nei segni orizzontali di un postmodernismo paradossale e parossistico, raffigurare la realtà, nella sua potenza espressiva, lirica e travolgente, abbia ancora un senso. «A differenza del digitale, l’arte agisce sul reale come divino eccipiente conservativo, come enzima che scatena ricordi, salivazione e connessioni neurali», precisa Massimo Rossi. L’invisibile – il quale solo nel visibile, questo il miracolo dell’arte!, traspare – diventa così l’incontrastato protagonista degli iperrealisti italiani. La forma e la materia, pulsanti, irradiano l’energia metamorfica che unisce l’opera agli astanti. La verità dell’immagine prorompe nel regno incantato dei pixel.