Trent’anni di carriera alle spalle. Eclettico, geniale, eccentrico, acuto, integro, “ironicamente malinconico e malinconicamente ironico”. Mai banale, lo si potrebbe individuare come un poeta alla ricerca del vero, dalle tinte forti mai monocromatiche, dai contrasti sgargianti e sorprendenti e fonte di molteplici sensazioni. In ormai trent’anni di carriera, Francesco Baccini occupa un posto speciale nel panorama della musica italiana, sempre più uguale a se stessa. Un cane sciolto, identificato da se stesso, indomabile che cerca di offrire un punto di vista, una prospettiva unica, diversa, intelligente e molto spesso geniale sulle cose e sul mondo. Privo di filtri e in un certo qual modo colmo di quello stupore fanciullesco che sarebbe una salvezza per ognuno di noi, più occupati nel piacere agli altri che a noi stessi, incapaci di cogliere la bellezza nelle cose, in quelle più semplici e quindi le più importanti.
Partito dai locali notturni di Genova, Francesco Baccini ha conosciuto l’apice del successo e le sue zone d’ombra. Alcuni brani, come Le donne di Modena e Ho voglia di innamorarmi, sono divenuti, per dirla con Renzo Arbore, quel tipo di canzoni che “poi però le cantano un po’ tutti”.
In un post su Facebook di qualche giorno fa hai lanciato una grave denuncia contro Sanremo…
Sono trent’anni che mi esprimo in maniera non equivocabile, non è una novità. Chi mi conosce sa benissimo come la penso e perché sono fuori dai giri, perché non li voglio; li ho sempre combattuti, però hanno vinto. Vincono sempre. Faccio il cantautore perché sono cresciuto con le canzoni di uno che si chiama Guccini e di uno che si chiama De André, che rappresentavano quelli che erano contro un certo modo di vedere il mondo. Questo me l’hanno insegnato loro. Ne parlava Luigi Tenco, lui aveva scoperto che c’erano tutta una serie di combine, ma l’Italia era quella roba lì fin dal primo minuto della Repubblica Italiana. Fa parte della mentalità italiana fregare gli altri e far andare avanti i parenti, l’amante, il cugino, lo zio… cioè, vale per il concorso alle poste e non vale per Sanremo? Vale per tutto. È che oggi è tutto fatto a volto scoperto, almeno prima facevano anche un po’ finta, adesso è proprio come se la Banda Bassotti non si mettesse manco più la mascherina. In Italia chi ha un minimo di potere decide per i suoi tornaconti personali. L’Italia è un Paese dove tutti si stanno sul c…. con tutti, a partire dal proprio vicino di casa. Quindi, di cosa parliamo?
La settimana di Sanremo…
Sì esatto, e a proposito di post eccone un altro, sempre mio, s’intende:
“La settimana di Sanremo per uno che canta è la settimana ideale per viaggi all’estero. Cosi nessuno ti annoia con frasi tipo: “Ma come mai non sei a Sanremo?” Oppure: “Hai visto il festival?”
“Ps.: E’ inutile mandare pezzi a Sanremo. Non li ascoltano nemmeno. La partecipazione è legata solo a giri di potere, quindi è una manifestazione truccatissima. Quest’anno almeno il 70 per cento del cast (presentatore, cantanti in gara e ospiti) è della “friends and partners“… Divertitevi”
Parlami della differenza che c’è tra l’essere popolari e l’essere artisti
Oggi i ragazzi confondono la popolarità con l’arte, questo è frutto del consumismo. Mentre in un’altra generazione i giovani avevano i piedi per terra, oggi non è più così. Ciò avviene perché i giovani di adesso hanno troppo. È come un bambino che ha cento giocattoli, li guarda per un po’, poi si annoia… mentre uno che ne possiede solamente uno, gioca d’immaginazione e lo trasforma in mille altri. Da piccolo giocavo a pallone con gli amici per strada e improvvisavamo una porta con due maglioni. Oggi si va alla scuola calcio. Come in Brasile o nel caso di Maradona, che è nato in una favela, mica è andato alla scuola calcio. Ormai il consumismo è entrato anche lì.
Una domanda mi sorge spontanea: talento e preparazione sono collegati?
Esiste una cosa chiamata talento. Alcune volte le scuole sono capaci di affinarlo, altre volte invece lo trasformano facendoti diventare un loro clone. Per questo sono contrario alle scuole di canto, io non ho mai preso una sola lezione. Mi sono creato il mio stile, la mia cifra. Siccome la gente vuole solo diventare famosa, quindi è solo una questione economica, si illudono di poter comprare anche il talento. Ma talentuosi si nasce. La televisione si è inventata tutti questi talents, così ogni anno sforna un tot di cantanti che saranno obsoleti l’anno successivo all’inizio della nuova edizione. La scuola non la fai sotto le telecamere, ci vogliono anni di studio e di fatica. Non esistono scorciatoie. La popolarità non è la normalità. Non si può diventare ingegnere nel momento stesso dell’iscrizione alla facoltà di ingegneria, è necessario seguire prima un lungo percorso di studi e una preparazione. Oggi si può diventare famosi a 19 anni, poi tutto svanisce e non si hanno gli strumenti per affrontare la vita reale “a telecamere spente.”
Quindi il presente, internet? La democratizzazione del pensiero è un’illusione?
Pensavamo che internet sarebbe stato il massimo della democrazia. Invece, visto che abbiamo tutti un microfono, anche quello che ai tempi era “il critico da bar” ha oggi il suo pubblico. Internet ha abbassato e appiattito il livello culturale e ha creato una frustrazione incredibile. Certi modelli sono impossibili da raggiungere e i ragazzi anziché rendersene conto li seguono. Di conseguenza sono già dei frustrati da piccoli. E’ una corsa a far vedere agli altri quello che si ha. Non si va più in vacanza o a un concerto, si va farsi delle foto in un posto per mostrare d’esserci stati. Tutti si prendono il proprio quarto d’ora di visibilità come aveva professato Andy Warhol.
Tornando a Sanremo…
Qualche giorno fa ho postato un’intervista dell’85 di Enzo Biagi ad alcuni cantautori che a quel tempo andavano per la maggiore quali: Lucio Dalla, Pino Daniele, Francesco Guccini, Francesco De Gregori e Fabrizio de André… e in questa intervista tutti, o quasi, dicevano di non esserci andati a Sanremo. In particolare cito con piacere la risposta di De Andrè che affermò
non si può fare “una gara con i sentimenti”, al massimo si possono fare gare di ugole. Essendo cresciuto in quel periodo, non ho mai pensato che la musica dovesse essere una gara.
Nel 2013 sei stato in Cina, impegnato con un Tour di 5 concerti da Pechino a Shangai. Com’è stata questa esperienza? Come è nata e cosa ti ha lasciato?
Sono diventato amico della più grande rock star cinese: Cui Jian, colui che ha portato il rock in Cina. È il Bob Dylan cinese. Cui Jian ha visto il mio Tenco e mi ha proposto di fare un duetto in Cina, dove lui cantava in cinese ed io in italiano. Questo pezzo è diventato famosissimo lì e mi sono ritrovato famoso in Cina. Il tour ha toccato tutta la Cina. È stato come andare su Marte, così mi sono trovato a dover fare 10, 11, 12 bis a migliaia di cinesi che parlavano e scrivevano in una lingua che non c’entra nulla con l’italiano. La Cina è un po’ come l’Italia negli anno ’60, in un momento di boom economico e di grande voglia di apertura dopo centinaia di anni di chiusura. Un’esperienza divertente e interessante. cantare in cina è stato quasi come cantare su un altro pianeta.
La musica sta vivendo un momento di crisi, che messaggio lasceresti ai ai giovani che vorrebbero intraprendere una carriera nel mondo musicale? Sono intrepidi sognatori o sono dei rivoluzionari?
Oggi la parola idealista non sanno neanche cosa voglia dire. Sono proiettati solo sulle vendite e sul guadagno: sulla fama. L’esempio che seguono è quello di chi fa tanti soldi. È l’unico metro che conoscono.Quando mio figlio era piccolo, dovevo insegnargli l’idea del risparmio in una società che non ricicla ma che getta il vecchio o il rotto per il nuovo. Tutto diventa obsoleto e inutile, si cerca la via più comoda… L’impero Romano è crollato così, se ci pensi. Il dramma del suo crollo è che poi è arrivato il Medioevo!
Fabrizio De André e Luigi Tenco, come ti spieghi che abbiano avuto così tanto successo più da morti che da vivi? Viviamo in uno strano mondo, se ci pensi anche nell’Arte è così.
Non esistono più figure di riferimento, che abbiano credibilità. Le uniche figure di riferimento sono i morti. Perché non possono più parlare e non sono più pericolosi. Nessuno li potrà più smentire e non possono più intervenire. Mi divertirei a chiedere a Fabrizio di commentare gli ultimi 20 anni d’Italia. Penso che ciò che direbbe non andrebbe bene a nessuno. Perché era un “cane sciolto” anche lui, peggio persino di me. Se fosse stato vivo, sicuramente gli avrebbero dato del vecchio rincoglionito e l’avrebbero liquidato così. Immagina inoltre Pasolini, se avesse avuto una pagina Facebook. Immagina cosa sarebbero stati in grado di dirgli oggi! Tra insulti sessisti o di genere. Sicuramente non sarebbero credibili. Perciò, concludendo, per essere credibile devi morire.
Quindi non abbiamo speranza? Cosa speri per il futuro: libertà, altruismo, rispetto. Cosa aggiungeresti a questa lista?
La speranza è l’ultima a morire. Le cose le cambiamo noi, non la speranza o il fato. Siamo noi a decidere e dobbiamo fare e non perderci in chiacchiere da bar. Ma oggi il “fare” è quasi da eroi. È assurdo! Le cose non cambiano da sole. Se dici:”Speriamo!” Hai già perso in partenza. È una scusa che racconti a te stesso per non far nulla. La speranza reale è che si svegli una generazione che possa cambiare il mondo, senza paura e che rivoluzioni “il nulla” in cui stiamo sguazzando oggi. Che si sveglino da questo torpore creato da questo mondo virtuale e finto, che trovandosi nella vita reale possa dire: ok cominciamo a lavorare. La realtà è lavoro. Lavorare 8 ore e guadagnare 30 euro al giorno. Così si darà valore alle cose. Questo è il vero genio, come diceva Picasso: “il vero genio è lavorare 8 ore al giorno…”