Articolo di Dejanira Bada pubblicato sulle pagine di Pangea in memoria di Andrea Pinketts. R.I.P. (Redazione).
Andrea G. Pinketts è stata l’ultima vera rock star. È morto a 57 anni e non a 27, ma entrerà sicuramente nell’olimpo dei belli e dannati.
Adorato dalle donne da sempre, alcolizzato come pochi, fumatore di sigari incallito. E proprio per questo qualcuno è stato capace di commentare che se l’è meritato, che se l’è andata a cercare. No comment.
Andrea sapeva scrivere, cazzo se sapeva scrivere. Era bravo, forse uno dei più bravi, e dispiace dover constatare che negli ultimi anni molti lo avevano allontanato proprio perché alcolista, perché non era più così famoso, perché non andava più in TV, perché era stufo pure di scrivere. Però non ha mai, mai smesso di appoggiare nuovi autori, non ha mai smesso di sostenerli, di crederci, di promuoverli, di aiutarli in tutti i modi. In quelli in cui credeva, ovvio. Se gli facevi schifo non ti prendeva minimamente in considerazione.
Ha sostenuto anche me. Ha sempre creduto in me. Ha voluto presentare il mio primo romanzo, e per il secondo ha addirittura voluto scrivere la prefazione e riprendere la penna in mano, cosa che non faceva più da un pezzo.
Al Balubà di Milano, ogni giovedì sera, presentava romanzi gialli di scrittori emergenti. C’era sempre, che nevicasse, che venisse giù il mondo.
E poi viveva a Le Trottoir di Piazza Ventiquattro Maggio, come molti sanno, fin dai tempi di Corso Garibaldi. Ha anche una sala a suo nome. Perché lui scriveva lì, incontrava i suoi amici lì, passava lì le serate, e beveva lì gratis i suoi infiniti cocktail.
A volte non connetteva, è vero, e barcollava, e biascicava, ma come succede a ogni genio, gli si perdonava tutto.
Andrea era anche un uomo molto solo nonostante fosse sempre circondato da gente. Un ex pugile che aveva fatto della vita il suo ring, che sudava tormento, ma dal quale si difendeva con un bel dritto di grottesco.
Pinketts era un’istituzione, per Milano, per i giallisti, per gli scrittori.
Hai visto, Andrea? Sei di nuovo finito in prima pagina sul Corriere. Dovevi morire per comparire di nuovo su un giornale, dovevi ammalarti di cancro.
L’ultima volta che ti ho sentito mi hai solo detto: “Scusa, ora non riesco, sto troppo male”. E hai messo giù. La tua voce faceva spavento, era devastata dal dolore, dalla morfina, da quel cazzo di cancro che non sei riuscito a prendere a calci. Ora, ovunque sarai, piglia a calci gli angeli, i demoni, le particelle elementari o quel che è, perché è giusto che tu sia incazzato. Sei morto troppo presto. Avevi ancora tanto da dare, e meritavi di vivere ancora a lungo, non come scrivono alcuni beoti bigotti che non sanno quel che dicono.
Prima che lo ricoverassero aveva smesso di bere, l’avevano obbligato, e ce la stava facendo. Era dura essere sempre lucidi, ce lo confessammo, e ci scambiammo uno sguardo complice ridendo.
E faceva un po’ impressione vederlo ancora più brillante e divertente.
Perché Andrea non era solo un bravo scrittore, era anche simpaticissimo, intelligente, ironico, gentile, un buono. Era dolce, sensibile, altruista, sempre pronto ad ascoltare, a dare una mano.
Anche chi non ha mai letto un suo romanzo ma ha avuto la fortuna di conoscerlo lo ha amato e gli ha voluto bene profondamente.
Ci mancherà tanto. Mancherà quella sua voce roca da duro, quella sua risata grottesca da pazzo squinternato.
È morto un playboy, è morto un grande scrittore, un grande uomo d’altri tempi, è morta una rock star.
Onorata di averti conosciuto.
Ciao Andrea.