Si trova nella vasta area vulcanica dei Campi Flegrei, vicino Napoli, che comprende oltre 40 vulcani tra cui la Solfatara.
Questo luogo di fuoco e di acque bollenti, di vapori e di esalazioni è da sempre legato alla morte, al destino dell’anima ed al passaggio dalla vita terrena a quella extraterrena: i greci qui ambientarono la battaglia cosmica tra Giove e i Titani, Plinio il vecchio, grande naturalista dell’antichità, diceva che qui c’era il mortiferum spiritum e i romani pensavano che le quaranta bocche vulcaniche del Campi Flegrei fossero l’antro di Caronte, il traghettatore infernale. E persino Annibale avrebbe fatto proprio qui dei sacrifici a Plutone, dio degli inferi.
Il lago d’Averno era la porta, il passaggio nel nebuloso regno dei morti. L’Ade, dove Orfeo provò a riprendersi Euridice, dove Ulisse incontrò Tiresia e dove Enea rivide il padre Anchise, accompagnato dalla somma sacerdotessa di Apollo, la sibilla cumana, che vaticinava il fato nell’antro nei pressi del lago.
E la selva oscura dove si ritrovò Dante era proprio il bosco che circonda il lago d’Averno. Quei sacri boschi protetti da Ecade, secondo Virgilio nell’Eneide.
Ma anche Galileo Galilei, padre del metodo scientifico moderno, arrivò ad affermare, durante una lezione all’Accademia fiorentina nel 1588, che la bocca dell’inferno si trovasse esattamente lì.
E Goethe scrisse nel suo Viaggio in Italia: «Sotto il cielo più puro, il terreno più infido».
Morgana, divinità Celtica e fata delle acque, scelse il lago D’Averno per le sue illusioni e la cui misteriosa presenza è testimoniata nel 1833 dal marchese Giuseppe Ruffo.
Nel Medioevo si diceva che anche Gesù Cristo fosse disceso, proprio qui, per liberare le anime che avevano finito di scontare la loro pena. «Esiste un luogo nel Sud dell’Italia, dove Cristo scardinò le porte dell’Averno, si prese i morti e li portò tra i suoi», affermava Pietro da Eboli, medico ed esponente illustre della Scuola salernitana.
E a Pozzuoli venne decollato San Gennaro, nel 305 d.C. Qui si conserva, nel Santuario di San Gennaro alla Solfatara – edificato dove avvenne il martirio-, il cippo della decapitazione con evidenti tracce ematiche del Santo, che ancora si ravvivano nei giorni precedenti alla liquefazione del sangue nelle ampolle, conservate nel duomo di Napoli.
E si racconta che gli Dei spodestati scatenavano contro i poveri frati una furia infernale, tanto che erano di guardia giorno e notte pur di fronteggiarli, secondo una cronaca del Seicento.
Tutto quello che era pagano e quindi in perfetta armonia con la Natura, in quanto viva e vita, con l’avvento del cristianesimo si è trasformato. L’Ade diventa il purgatorio, le divinità pagane diventano demoni, etc. etc.
Venire qui è un’esperienza che farà comprendere la vastità dell’infinito e farà riflettere sul grande mistero della vita e della morte. Quel mistero che l’uomo, attraverso i miti, la religione e le arti nobili, ha sempre cercato di raccontare e forse anche di esorcizzare. Quel mistero che Offenbach nella sua operetta satirica Orfeo all’inferno esorcizza con il galop –il can il can che vediamo ballare al Moulin Rouge-.
Questi luoghi descritti hanno una loro anima, un particolare carisma, che si percepisce solo se ci poniamo in sincero ascolto. Non si faticherà a trovare un’emozione. Le menti scientifiche ritroveranno in questa emozione la meraviglia del creato, i sensibili l’amore, i credenti riconosceranno la presenza di Dio, comunque essi lo concepiscano.