Cosa sei disposto a fare per salvarti? “7 anni” di amicizia e codardia

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Storie di affari, di amicizie, di amori. Ma anche di baratti che possono cambiare la concezione (e la condizione) della vita. All’improvviso. Proprio quando tutto sembrava andare per il verso giusto, il destino di cui siamo artefici ci riserva sorprese inaspettate. E spesso sgradite. Quanto è difficile decidere chi sconterà la pena in carcere per salvare l’azienda? Perché troppo spesso i giochi di potere e la ricerca sfrenata del dio denaro portano a crimini per i quali qualcuno dovrà pagare.

Al Teatro Argot Studio di Trastevere a Roma, fino al prossimo 23 dicembre, va in scena lo spettacolo dalle venature tragicomiche “7 anni”, di José Cabeza e Julia Fontana, tradotto da Enrico Ianniello, per la regia Francesco Frangipane con gli attori Giorgio Marchesi, Massimiliano Vado, Pierpaolo De Mejo, Serena Iansiti, Arcangelo Iannace, che si alternano sul palcoscenico di via Natale Del Grande e la voice off di Vanessa Scalera.

In una serata molto tesa i soci di un’azienda di grande successo si ritrovano davanti all’ardua scelta di puntare il dito contro chi di loro dovrà scontare la pena di sette anni per evasione fiscale. Il fisco ha infatti preso di mira il loro conto segreto custodito in una banca svizzera. E di fronte alla prospettiva di finire tutti dietro le sbarre, per la grande somma di denaro non dichiarata all’agenzia delle entrate, arrivano alla conclusione che solo uno dei soci dell’azienda dovrà assumersi la colpa per il bene comune, quasi sacrificandosi alla pena di reclusione. Così si decide per l’intervento di un mediatore esterno ai fatti che possa aiutare tutti a compiere la scelta migliore, ascoltando le ragioni di ogni singolo socio per trovare una soluzione anche se non è facile.

Francesco Frangipane spiega: «7 anni di carcere sono tanti? Possono cambiare la nostra vita? Quanto valgono? Possono essere barattati con qualcos’altro? Sono questi gli interrogativi che si pongono i protagonisti e che si pone il pubblico insieme a loro – e che mi sono posto anch’io – per costruire la partitura tragica di questa spietata commedia. La storia infatti è solo un meraviglioso pretesto per raccontare altro: l’amicizia, l’amore ma anche la codardia e la meschinità messe a nudo da un evento scatenante che trasforma pian piano i protagonisti da potenziali vittime in autentici carnefici, essendo quella l’unica luce verso la salvezza». E aggiunge: «Mi sono chiesto cosa si è disposti a dire e a fare pur di salvarsi? Tutti interrogativi che mi permettono di indagare ancora una volta, come nei miei precedenti lavori, sulla psiche dell’essere umano. Sui quattro soci, amici, amanti, vittime-carnefici di questo gioco al massacro ma anche sul mediatore, la figura naif venuta dall’esterno e che li deve aiutare a decidere chi andrà in carcere e che, se da un lato è la voce dello spettatore, dall’altro è colui che aiuterà lo spettatore stesso a trovare le risposte a quei perversi interrogativi».

E l’epilogo? «L’epilogo beffardo è l’occasione per rendere ancora più tragica la condizione dei protagonisti e per permetterci di proiettarci oltre la situazione stessa, oltre l’immaginabile, lì dove neanche il testo arriva e dove invece deciderà di arrivare lo spettatore. Il tutto in un’idea di messa in scena, ormai imprescindibile per me, che vuole continuare a tenere il pubblico dentro la scena e accompagnare lo spettatore per mano dentro la storia stessa fino a condividere le emozioni dei personaggi e farsi carico delle domande e dei dilemmi che travolgono i protagonisti», conclude il regista.

Una pièce che offre una riflessione intensa sulla psicologia umana e sui rapporti interpersonali spesso fondati sull’apparenza e sulla percezione meramente esterna. Dove l’intimità sembra essere il frutto scontato delle relazioni.