Nei romanzi di Alvaro Gradella la radice romana di Artù

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CC0 Creative Commons, Ph. kalhh
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Spesso la narrativa storica è in grado di indagare il passato, cogliendo aspetti, umani o sociali, che la storiografia accademica non è in grado di rappresentare compiutamente. Quando poi il romanzo storico si misura con avvenimenti molto antichi e, magari, persino avvolti nella legenda, la narrativa può arrivare addirittura a sostituirsi al lavoro dello storico.

E’ il caso dei romanzi di Alvaro Gradella, che con L’Aquila e la Spada e il seguito Excalibur La Spada di Macsen, ha vinto nel 2016 il “Premio Morselli”. In particolare nel secondo volume, Gradella ci consente di conoscere il Comes Britanniorum Magno Clemente Massimo, ultimo Governatore romano delle Britannie e temutissimo usurpatore del IV secolo.

La sua spada, quella di Macsen Wledig (il nome con cui lo ricorda la mitologia gallese), sarebbe poi stata conosciuta dai posteri come Excalibur, l’arma dei re bretoni.

Goffredo di Monmouth, che con le sue opere del XII secolo sarebbe divenuto fonte primaria della “materia di Bretagna”, lo celebra come “parente stretto” di Artù, di fatto il suo successore.

Grazie a Gradella, dunque, riemerge dalle nebbie del mito un uomo realmente esistito, ma a lungo dimenticato, al quale in parte dobbiamo una delle tradizioni fondative dell’identità culturale dei popoli europei.