Gerardo Paoletti: la carne, la morte e il diavolo

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Ph. Giacomo Tofani

La carne, la morte e il diavolo. E’ questo il titolo della mostra di Gerardo Paoletti (un tributo al celebre saggio di Mario PrazLa carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, pubblicato nel 1930), programmata a Palazzo Fabroni di Pistoia dal 30 settembre al 18 novembre, realizzata dal comune della città, nell’ambito del progetto regionale TOSCANAINCONTEMPORANEA2018, curata da Valerio Dehò e Claudio Giorgetti.

L’esposizione è divisa in due sezioni, stilisticamente divergenti tra loro. In una troviamo le figure umane, che il giovane artista crea grazie all’accumulo d’immagini ricavate in particolar modo dal web. Si tratta di soggetti disposti su uno sfondo nero, come se emergessero dall’oscurità, come se Gerardo Paoletti volesse indagarne i lati più misteriosi. Si tratta di uomini e donne fossilizzati nella storia, che sembrano impossibilitati a vivere nel presente. Li osserviamo e ci emozioniamo grazie alla luce che sprigionano, ingabbiati in quel buio – soluzione che riecheggia la matrice caravaggesca.

Ph. Giacomo Tofani

Se in questa parte della mostra sono la fisicità e la drammaticità che regnano, nell’altra troviamo anche un altro aspetto, che è quello dell’ironia. In tal caso gli scheletri (rappresentanti la morte) vengono presentati dall’autore in un clima allo stesso tempo di violenza e di festa.

Potente sotto quest’aspetto è l’opera La verità torrida del sole a mezzogiorno, dove una serie di personaggi scheletrici sono mostrati sotto diverse forme: chi col mitra in mano, chi col suo destriero alato in volo. La cosa più “sconvolgente” accade nella parte destra del dipinto, dove scheletri che indossano maschere di bestie stanno salutando la morte di una volpe, dando vita così all’evidente paradosso, tutto questo mentre sullo sfondo viene proiettata una giostra, che dona al complesso ancora più assurdità.

Ph. Giacomo Tofani

Prima abbiamo richiamato Caravaggio, mentre adesso come non pensare ai Fiamminghi?Lo spirito diabolico e miniaturistico di Bosch e le scene di massa di Bruegel il Vecchio sembrano prendere vita in una nuova veste, dando luogo a un prodotto originale, a una “danza macabra” che ci tocca allo stesso tempo per la sua drammaticità, come del resto per la sua sottile ironia, richiamando inoltre l’atmosfera del teatro, delle maschere e della Commedia dell’Arte.

Accanto a la “carne, la morte, il diavolo” dovremmo quindi aggiungere un altro tassello che accompagna le opere di Gerardo Paoletti, quello del sardonico gioco, che rende i suoi lavori così pungenti e intriganti, intingendoli sempre di quell’aspetto ambiguo e arcano, che rende la sua opera d’arte inafferrabile e non definitivamente comprensibile.