Maria Antonietta era una donna che amava stare in compagnia. Aveva 73 anni, viveva a Rho e amava curare il suo aspetto e stare con i nipoti, il Ferragosto a ballare al centro anziani, la spesa al mattino nelle vie del centro: quel giovedì mattina aveva comperato l’arrosto che voleva cucinare “per la figlia, o la nuora, e la nipote a cena”.
Antonietta Migliorati, però, quella cena non l’ha mai preparata: Stefania Ripoldi, sua figlia, l’ha trovata morta, nella sua casa, uccisa con 10 coltellate sulla nuca, il 17 agosto 2017.
Il suo dolore è ancora vivo, è passato poco più di un anno e raccontare la morte terribile della madre non è per niente facile: «Ho cominciato a chiamarla dopo le 18.30 per gli ultimi dettagli, il giorno dopo sarebbe arrivata mia cognata con la bambina da Livigno, dove abita insieme a mio fratello. Mia mamma aveva voglia di vedere e abbracciare la sua nipotina – continua Stefania: erano appena passate le 20, stavo preparando la cena per mio marito e mio figlio e dopo ripetute telefonate avevo cominciato a preoccuparmi. Avevamo l’abitudine di sentirci sempre alla sera, anche quando usciva con le sue amiche, mi chiamava sempre!».
Così alle 20.15 la donna decide di andare a vedere se sia successo qualcosa e, arrivata davanti casa della madre, vede la sua macchina parcheggiata: «Ero terrorizzata al pensiero che potesse essersi sentita male e con le chiavi che tenevo io apro il cancello e corro su per le scale, comincio a chiamarla ma nessuna risposta, mi accorgo che le ante dell’armadio sono tutte aperte, è strano non è da lei, continuo a urlare chiamandola, apro l’unica porta chiusa quella del bagno, la vedo a terra,le braccia sul petto, il viso tumefatto, non riesco più a respirare».
Stefania trova la madre in una pozza di sangue, ovunque i segni della ferocia. Per la donna i primi sei mesi sono devastanti: «Volevo proteggere i miei figli da questo mio dolore, davanti a loro cercavo sempre di mantenere il controllo, ma di notte urlavo sottovoce e mi graffiavo le gambe per sfogare la rabbia, il dolore e la paura di qualcosa, di un dolore che non conoscevo».
Le indagini sono state seguite dai carabinieri della caserma di Rho, dai carabinieri del nucleo investigativo di Monza, dai RIS di Parma, che hanno lavorato con grande competenza, tempestività e professionalità: «Il 5 marzo 2018 alle 7.30 del mattino arrivano a casa mia il comandante e il maresciallo della caserma dei carabinieri di Rho per comunicarmi che hanno arrestato il presunto assassino di mia mamma: secondo le ipotesi degli investigatori l’uomo era scappato portandosi via una collana con un ciondolo, un orologio d’oro, un bracciale, un orecchino e soldi in contanti».
Purtroppo in questa tragedia non c’è solo il dolore e lo shock per quello che è successo: Stefania ha dovuto difendere la madre da giornalisti sciacalli, che sfruttano il dolore degli altri per fare audience, spesso intralciando il lavoro dei carabinieri e dando visibilità agli assassini con trasmissioni che andrebbero gestite diversamente: «In questa tragedia ho avuto la fortuna di conoscere persone fantastiche in UNAVI Unione Nazionale Vittime: in Italia soltanto il reo ha diritti, come per esempio l’avvocato d’ufficio, noi vittime dobbiamo pagarci tutto. Grazie all’associazione abbiamo la possibilità di essere assistiti da avvocati competenti».
Dopo più di un anno è stato fissato il processo e l’avvocato Massimo Proietti (UNAVI Unione Nazionale Vittime) è il difensore della parte offesa: «Dopo più di un anno il processo è stato fissato per il 24 ottobre dinanzi alla Corte d’Assise di Milano: è arrivata la notifica con giudizio immediato che l’imputato ha quindici giorni di tempo per scegliere il rito abbreviato, ciò potrebbe spostare l’udienza di qualche giorno; alla prima udienza bisognerà costituirsi parte civile e in questo processo verrà fatta per la prima volta la costituzione di parte civile di UNAVI Unione Nazionale Vittime».
La rubrica di OFF #legittimadifesa è un’iniziativa in collaborazione con UNAVI Unione Nazionale Vittime
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