Pasquale Panella, la rivoluzione letteraria di NASO

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Rene Magritte, La lampe philosophique, 1936, olio su tela, collezione privata, 50x60 cm, fonte WikiArt
Rene Magritte, La lampe philosophique, 1936, olio su tela, collezione privata, 50×60 cm, fonte WikiArt

Scritto alla fine degli anni Sessanta e pubblicato per la prima volta da Fefè Editore, NASO o delle cattive letture, delle scritture impure descrive l’opera giovanile di Pasquale Panella, che in bandella dichiara di rinunciare a qualsiasi apposizione celebrativa. Il libro è uscito lo scorso luglio nella collana Oggetti del desiderio, curata dallo scrittore e filosofo Lucio Saviani

Naso è un’opera letteraria, Naso è l’autore e il testo, Naso è un manuale di scrittura. Naso è un interrogativo su se stesso: cos’è Naso?

Se la sceneggiatura fosse poesia? Se la poesia fosse sceneggiatura? E se i versi fossero battute di un copione e le battute annunciassero le strofe? Forse, dopo una manciata di ‘se’, tutto seguiterebbe a essere una congettura, dunque un’opera di libro, un libretto d’epoca, di quel che fu e continua a imporsi nella parola; un libro di cuore come il libro Cuore di Edmondo De Amicis, qui in qualche pagina evocato: un piccolo (solo nella teca di carta) grande libretto. Tante ipotesi di volume a caldeggiarne una, prominente quanto La Lamphe Philosophique in copertina, e robusta come il Naso.

Il Naso è nel forse: un diario di fine anni ’60, forse; un monologo dialogante stordito da due amanti, un’ attrice e un attore, forse; la sceneggiatura di un film, forse. Il Naso è l’istantanea di un ricordo, denso quanto le parole che esorbitano dall’opera. L’importante piramide che di una gota ne fa due, sorveglia le labbra e guadagna sin da principio la scena nell’asilo umido di un fazzoletto. Quello delle donne, o delle nonne, posto tra il tepore di un seno, piegato per l’urgenza di una lacrima o l’occorrenza di uno starnuto. Un mite cotone, vezzeggiato dalla premura di una signora, pronto a farsi tavolato teatrale per l’andare a soggetto degli attori protagonisti: due come gli amanti. Tutto nel segreto del camerino che è scena e vita.

Pasquale Panella scorta l’olfatto tramite bacili odorosi di parole, dalle prime righe di una solennità cattedratica, annunciata da un santo – San Pietro penitente – sino a quella respirata nel teatro. E dalla liturgia al suono di incenso a quella del drappo rosso, giunge il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. La prima giovinezza, salvata dal fardello scolastico, attraverso la scrittura di un’opera: questa.

Naso non si racconta, se non mediante starnuti di impressioni. Il Naso è l’assoluto: solido respiro di letteratura. Tutta l’umanità, da quella teatrale a quella cinematografica, dunque l’umanità tutta, mulina intorno a Naso; vive per farlo vivere e raccontare una storia in barba alla narrazione. E così tra le trame delle pagine torna la stoffa del sipario, anticipata da quella del fazzoletto umettato di cotone e baci, coglitore di un naso che sanguina d’amore rosso di drappo; starnutisce il pensiero per esiliare il senso, sempre inaccessibile, e scruta il mondo da due fessure, le narici. Il fazzoletto è il tendaggio che raccoglie le gocce di sudore, spese per arrivare alla quarta, lacrime sudorifere, proprietà della fatica di ricordare il copione; battute che battono sul palco di inchiostro e carta, scheggiato dalla confusione anche di un set cinematografico, dove l’attrice ama corrisposta e con risposta l’attore.  A dispetto del significato, il Naso prova, avverte la mancanza e lotta per la bellezza. Perché chi inspira l’inchiostro è un rivoluzionario: quale letteratura, madida di pudicizia, può essere letteratura autentica?

Il Naso è letteratura, indomita sino a trascinare in poesia il verso giallo chiaro emesso da una “vesica”; insubordinata fintanto da richiamare Pinocchio a simbolo di verità. Il Naso è letteratura che scrive di scrittura carnale e lo fa per una sola lettrice poiché il femminile è l’unicità e sospende il lettore di massa. Il Naso è finanche viaggio nelle suggestioni di grandi nomi con appelli alterati e tersi: Shakespeare, Rostand, Pascoli, Hemingway e il già ricordato De Amicis. Ma il trono è dominio della scrittrice Françoise Sagan, colei che ha trangugiato tutta la letteratura dopo, dopo di lei:

(…)Françoise Sagan, che a colazione mangiava viva tutta la pasticceria narrativa a venire, spazzando vassoi tondi come decenni, e mandando in fumo se stessa e la stessa sigaretta per sempre (i veri fumatori non fumano che una sigaretta, la stessa, per sempre).

E nel Bonjour tristesse scappia il tempo un adieu à la jeunesse, tutto stipato in queste pagine dette da un diciannovenne con la forza di imprimersi nella letteratura, proprio come fu per la Sagan: adieu giovinezza, adieu secolo ventesimo, e ancora Addio Giovinezza nel richiamo a Nino Oxilia – la via natìa dell’autore – e Sandro Camasio.

Naso è anche un vaso fiorito di figure retoriche che si sganciano dalla retorica, uno scritto a scritto con la pagina: una dozzina di analessi, metafore e anacoluti a chiudere il mazzo. E qui, in questo testo, nelle parole dello stesso autore, la baraondina si fa genere.

Una baraondina, mi viene da dire, come fosse un genere letterario, una condizione umana, una incredula confusione di figure incredule.

Pasquale Panella si riscopre in un’opera letteraria dal valore assoluto; un viaggio nel passato, tra suggestioni, ricordi e monologhi, anche quelli de Il Foglio, nel giorno martedì di qualche foglio fa.

Naso non si racconta, è scritto per esser letto da una unica lettrice.

Protagonisti: Naso/Nasìce/Coro.

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