Dietro un cigolante portone in legno di un tenue verde opaco, nel centro di Como, c’è la piccola ex Chiesa di San Pietro in Atrio. Il tempo ne ha stinto gli affreschi e la storia fino a lasciare le pareti delle navate a tratti semi nude. Qualche consunto ricordo di un’antico passato si rintraccia nei resti paleocristiani sotto la navata destra e nelle memorie di qualche anziano, che ha visto quello spazio mutare nel tempo e che, ancora oggi guardandone i soffitti, naufraga in ricordi nostalgici.
Dagli anni ’80 San Pietro in Atrio ospita periodicamente mostre ed eventi culturali, In questo assolato agosto e fino al 2 settembre è la personale Blu Agostino di Armando Fettolini (Milano 1960), a cura di Simona Bartolena e Salvatore Marsiglione (MAG – Marsiglione Arts Gallery di Como) ad aprire nei silenziosi spazi dell’edificio “finestre” su paesaggi dell’anima, proponendo un percorso dove, un quadro dopo l’altro, gli orizzonti si annullano, gli spazi si dilatano, la figurazione si perde, cedendo il posto all’astrazione e i confini tra cielo e terra divengono sempre più labili, abbozzati solo dalla matericità del colore e dal segno della pennellata.
Quella di Armando Fettolini è un’indagine sull’infinito, dove la soglia tra visibile ed invisibile, tra materiale e spirituale, cessa gradualmente di esistere. Il risultato è una sensazione di smarrimento in una dolce deriva: talvolta in oceani dagli azzurri intensi, talaltra in notti dai blu cupi, rischiarate solo da piccoli punti bianchi nella vastità del cielo, altre ancora negli spazi indefiniti e fluttuanti del cosmo.
In questo gioco di confini a volte presenti a volte assenti, alcuni visitatori riescono ad oltrepassare gli orizzonti del reale, abbandonandosi negli immensi spazi delle emozioni, dandosi la possibilità di ritrovare sentimenti velati dalle nebbie del passato e di conoscere meglio se stessi e i propri “paesaggi interiori”. Altri invece sembrano aver smarrito la voglia di lasciare che lo sguardo vaghi libero tra quelle campiture blu e che la curiosità li guidi nell’esplorare l’inaspettato, ma sentono piuttosto la necessità quasi morbosa di immortalarsi in quell’istante, di rendere eterno un momento, che forse in realtà da dietro il filtro asettico ed impersonale di uno schermo, intenti nello scattare la foto perfetta da postare sui social, non stanno nemmeno pienamente vivendo.
Siamo sempre più convinti che l’infinito risieda in qualche modo in un mondo all’apparenza tangibile, nell’essere parte di un tutto in verità spesso fittizio, come le foto che nell’etere del web crediamo non sbiadiscano mai. Non ci rendiamo più conto che la sconfinatezza in realtà è nella mente umana, negli intricati ragionamenti che essa può generare, nella vastità dei nostri pensieri, nell’immensità delle nostre fantasie che spesso valicano le montagne della razionalità per percorrere i sentieri dell’irrazionale.
E’ dunque tingendo di blu i nostri occhi e ponendoli difronte a spazi indefiniti che l’artista ci invita a perderci negli abissi della mente, alla ricerca di quell’infinito che possiamo trovare solo sondando le periferie nella nostra anima.