La morte del piccolo Alfie ha di nuovo diviso le coscienze di molti e obbliga a ragionare sulla nostra Cultura e sulla nostra Identità, sociale e religiosa. In realtà nel caso di Alfie, come in molte altre situazioni analoghe, la questione è una sola e si chiama Bioetica.
Questa parola è sulla bocca di tutti, riempie le pagine di giornali e Tv; ma siamo proprio sicuri di sapere di che cosa stiamo parlando?
E’ necessario ricordare che, fin dalle sue più remote origini, l’uomo ha sempre attribuito forti significati, sia religiosi che morali, alla sfera della propria salute: tanto è vero che la guarigione è stata spesso considerata come un dono Divino.
Preghiere e rituali hanno, per secoli, accompagnato le terapie effettuate dai medici e spesso i medici erano anche preti, se non addirittura Dei!
Ancora oggi, in molte tribù, gli aborigeni venerano gli Sciamani o Stregoni, veri e propri rappresentanti della divinità in terra e depositari, quindi, anche dell’arte di curare ogni genere di malattia, sia del corpo che dell’anima.
Esculapio, Dio greco della medicina, fu addirittura ucciso con un fulmine da suo padre Zeus, stufo delle continue lamentele del Dio degli inferi, dovute al fatto che, grazie alle efficacissime cure di Esculapio, la gente non moriva più e lui si sentiva …disoccupato!
Si deve al grande medico Ippocrate la dimostrazione che la medicina doveva essere considerata come una scienza, e non più come una religione. La separazione voluta da Ippocrate fra medicina e religione non doveva però trascurare le radici morali della medicina stessa, anzi: l’arte medica diveniva la sintesi dell’amore per il prossimo.
Da quel momento in poi la tradizione medica di tutti i paesi occidentali ha seguito precetti morali ben delineati, riguardanti sia la competenza scientifica che il rispetto per i pazienti di ogni genere e natura: ricchi o poveri, del proprio Paese o stranieri, o addirittura nemici!
E così fu seguita la tradizione di Ippocrate, con ben pochi cambiamenti, fino alla fine della seconda guerra mondiale. Solo allora la cosiddetta “etica della medicina” raggiunse un punto cruciale: si trovò di fronte ad un velocissimo progresso delle biotecnologie, così prorompente da richiedere la formulazione di nuove regole, prima fra tutte una nuova definizione del concetto di Morte.
Quali erano -e sono- i limiti della rianimazione? Quali quelli dei trapianti di organo? Quali quelli della ricerca sugli embrioni e sul genoma umano?
Paradossalmente la medicina, in dispregio a Ippocrate, che tanto lottò perché essa venisse considerata una scienza a sé, e quindi ben differenziata dalla Religione, iniziò a subire pressioni di ogni genere e natura da parte di teologi, filosofi, giuristi e sociologi che ben presto invasero il campo dei medici. I Governi quindi iniziarono ad istituire Comitati e Commissioni per delineare e raccomandare linee guida ed i tribunali iniziarono a menzionare nelle loro sentenze parole come etica e biologia, incoraggiando i legislatori a favorire la stesura di leggi riguardanti questa materia.
Così la bioetica rubò il posto alla millenaria etica professionale, che aveva regolato il rapporto medico-paziente fin dai tempi di Ippocrate.
Fin qui la storia: abbiamo fatto dei passi avanti, rispetto a Ippocrate o indietro? Non è in realtà una retromarcia l’avere reintrodotto religione e filosofia quali fattori determinanti il comportamento del medico?
Nel 1978 il Congresso degli Stati Uniti creò la “Commissione del Presidente per lo studio dei problemi Etici in Medicina”. Tale Commissione era composta da 11 membri fra i quali teologi, giuristi, filosofi e amministratori pubblici: in minoranza erano medici e ricercatori.
L’attuale Comitato di Bioetica della Presidenza del Consiglio Italiano mi sembra abbia seguito gli stessi dettami. Con l’avvento di teologi, filosofi e giuristi la medicina è stata stravolta. Che differenza con quanto Ippocrate affermò, con grande fatica, nel V secolo avanti Cristo: la separazione netta fra scienza e religione! Avrebbe sorriso Ippocrate, se avesse letto la famosa enciclica Humanae Vitae di Papa Paolo VI e forse non avrebbe gradito la ferma proibizione al controllo farmacologico delle nascite!
Credo che la fede religiosa non dovrebbe mortificare la medicina. Cosa che sta facendo anche l’attuale regolamentazione sul fine vita: la bioetica attuale è infatti soltanto una etica normativa e, come tale, molto limitativa. La Religione, come ai tempi di Esculapio, è ritornata a fare la parte del leone. Non a caso a Piergiorgio Welby è stato negato il funerale in Chiesa, nonostante le ammende dell’allora Cardinale Martini!
E non a caso l’ex Pontefice Benedetto XVI ha più volte criticato l’imperante relativismo culturale, dimenticando che, proprio grazie a quel relativismo, si è sviluppata la scienza moderna.
Concludo con le parole di Vittorio Gorresio, tratte dalla prefazione al bellissimo libro Risorgimento Scomunicato:
un funesto errore è stato e sempre sarà, il tentativo di risolvere il problema dei rapporti fra Stato e Chiesa con una prova di forza: nel Risorgimento questo errore fu commesso dalla Chiesa, da un clero che mancò di comprensione anche nelle più alte sue gerarchie e che, mosso da spavento, o accecato da prevenzioni, peccò verso le norme del vivere civile ed alla fine si trovò escluso da un grande moto di progresso e di rinnovamento, avendo in pratica scomunicata l’aspirazione di tutto un popolo.