Nata a Brescia, ma meneghina d’adozione, Linda Ferrari, in arte Drunkenrabbit, è un’artista col cuore all’ombra della Madunina. E proprio della sua idea di “cuore” mi parla con tutta calma all’interno di Avery, bella boutique olfattiva del milanese, all’interno della quale tra profumi mai sentiti, pezzi di design ricercati e gentilezza palpabile, è facile lasciarcelo, il cuore e dove si può ammirare tutta la serie di “cuori gioiello” di cui Linda ci racconterà la nascita, lo sviluppo e il loro piccolo palpitare.
Come ti definisci? Artista? Designer?
Artista, nonostante venga spesso classificata come designer, visto il mio lavoro sul gioiello. Ma la parola “designer” è collegata a un concetto di serialità, mentre dei miei lavori esistono pochissimi pezzi. Potrei riproporre i miei pezzi all’infinito, ma ho scelto di farne pochi, di concentrarmi su tirature limitate: se un domani dovessi buttare la matrice dei miei gioielli, non sarebbe possibile riprodurne altri. Dò un valore enorme all’unicità delle mie creazioni.
Cos’è il talento per te?
Bella domanda. Il talento è riuscire a esprimere un’idea e un sentimento, dar loro una forma di estrema bellezza.
Sei originaria di Brescia, ma da più di dieci anni sei fissa a Milano: questa città influenza il tuo lavoro?
Moltissimo. Da un lato è estremamente stimolante dall’altro è incredibilmente limitante. Una continua fonte d’ispirazione, certo, ma per altri versi la considero una vera stronza.
Le tue fonti d’ispirazione?
Una delle mie prime fonti d’ispirazione sono le donne della mia famiglia. Appartengo ad una famiglia matrilineare. Ci tramandiamo tutto di generazione in generazione: dai racconti, alle arti, ai gioielli, al ricamo. Ognuna di loro ha lasciato qualcosa all’altra e tutte hanno lasciato qualcosa a me. Sto riutilizzando tutte le tecniche apprese, reinterpretandole. Tra i grandi artisti invece, tra i grandi nomi, sicuramente attingo emotivamente da una desolazione di Hopper, da una natura di Gauguin o da Rousseau.
È un fulcro, uno snodo, il protagonista assoluto collegato a concetti come “il primo battito/l’ultimo battito“. Il cuore è un’unità di misura assoluta. Mi sono innamorata dell’idea che il cuore possa affondare le sue radici come un albero: queste vene che conquistano tutto il corpo e lo sostengono con la sua linfa vitale. Il centro dell’essere. Ricamato, perché ho sintetizzato quello che mia nonna mi ha insegnato, ovvero il ricamo.
Com’è nata l’idea del “cuore gioiello”?
Prima di farlo diventare un gioiello lo disegnavo. Come dicevo per me è un fulcro. Poi ho iniziato a colorarlo con i fili. Mi piace ricamare. Una delle eredità di mia nonna. Mi piace l’ancestralità del cucito. Dell’essere tessitrice di storie e destini come una parca, oppure perdersi nel gesto in sé e utilizzarlo come strategia (come Penelope) per scappare per poche ore da questo mondo.
Esiste una cura ad un cuore inaridito?
Sì, ma servono tempo, pazienza e dedizione. Kubrick diceva: “un’arma è solo un utensile. È il cuore duro che uccide.”
Essere donna e artista oggi: complicato?
Il mondo non è un posto per donne stupide. Personalmente nutro ancora speranza che l’essere una donna non sia necessariamente un ostacolo. Essere un’artista oggi è difficile? Sì, almeno per me. Innanzitutto perché sono povera. (ride, n.d.r.) Essere artisti e benestanti è una cosa, essere artista e avere sempre bisogno di introiti, sponsor e simili non è facile. Noi artisti di Milano, intesa come comunità o gruppo di amici con questa vocazione, uniti quindi da un intento comune, ci sosteniamo molto a vicenda. Nutriamo il nostro portafoglio col lavoro e la nostra anima con l’arte. Non è facile, ma molto nobile.