«Da quel giorno la nostra vita è finita». Così racconta Diego Raggi, quando il 12 marzo 2015 venne ucciso suo fratello David da un marocchino ubriaco che, dopo essersi armato di un pezzo di vetro, aveva colpito all’istante il giovane.
«David aveva ventisette anni ed era studente di biotecnologie farmaceutiche e volontario del 118, quel giovedì sera era andato a trascorrere un paio d’ore nel bar preferito di Terni, insieme ai suoi amici ma, per una fatale coincidenza, ha incontrato la morte».
L’assassino, Amil Aassoul, già noto alle forze dell’ordine per furti e violenza, quella sera, secondo la ricostruzione, ha cominciato a dare in escandescenze all’interno del bar e il personale, insieme a due agenti in borghese, ha cercato di calmarlo; durante il parapiglia sono stati rotti bicchieri e bottiglie, dopodiché il marocchino ha colpito al collo David, che era davanti al bar, sgozzandolo con un pezzo di vetro e uccidendolo all’istante. Quando è arrivata l’ambulanza, all’amico medico che lo ha soccorso ha chiesto di salutare la sua famiglia: sapeva che non ce l’avrebbe fatta.
Amin viene condannato nella sentenza di primo grado a trent’anni, ma la famiglia Raggi ha deciso di fare causa allo Stato: ai ministeri dell’Interno, della Giustizia e alla presidenza del Consiglio dei ministri: «Abbiamo iniziato una battaglia legale per i diritti dei cittadini contro tutti e contro lo Stato, con la speranza di poter dire alla fine ce l’abbiamo fatta, viva l’Italia. David era un cittadino di cui andare fieri, votato all’altruismo e alla beneficenza, un ragazzo amato da tutti», così racconta il fratello Diego.
Amin Aassoul era arrivato a Terni nel 2007 dove aveva raggiunto la madre sposata con un uomo del posto. Dopo diversi reati gli era stato revocato il permesso di soggiorno e rimpatriato. Assoul era poi tornato in Italia nel 2014 sbarcando a Lampedusa. Il legale della famiglia è l’avvocato Massimo Proietti, che addebita al Ministero della Giustizia il fatto che Amine Aassoul fosse a piede libero, nonostante già nel gennaio del 2014 avesse accumulato pene pari a sei anni e otto mesi di reclusione. Al ministero dell’Interno si contesta la mancata espulsione, mentre alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la famiglia chiede i danni per la mancata attuazione della direttiva comunitaria 80 del 2004 (che doveva essere recepita entro il luglio del 2005) che prevede l’istituzione di un fondo di garanzia per le vittime di reati gravi, commessi da persone prive di reddito – ed è proprio il caso di Amine Aassoul – o che non possono liquidare le provvisionali a cui sono stati condannati.
La causa è in decisione dal 6 febbraio di quest’anno e l’8 marzo contiamo di mettere la parola fine in Cassazione. La problematica dei reati intenzionali violenti e del relativo fondo ha destato grande interesse nell’opinione pubblica e nei media ed a tutela delle vittime molto è stato fatto dall’Unavi e il 21 marzo l’associazione si troverà presso il Tribunale di Roma a sostenere i diritti e la dignità delle vittime e dei suoi familiari, per un’ altra importante causa che la famiglia Raccagni ha intentato contro la presidenza del Consiglio dei Ministri per la mancata attuazione della 2004/80. Pietro Raccagni era il macellaio di Pontoglio colpito alla testa durante una rapina a opera di una banda di albanesi, nella sua villa nel luglio 2014, e morto dopo 11 giorni in ospedale.
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