«Già da bambino sapevo benissimo che avrei scritto canzoni per tutta la vita. Durante le festività organizzavo performance nella mia stanzetta per i miei cugini, scrivevo canzoni e me le immaginavo nei musical, tappezzavo le pareti dei poster degli artisti che mi sembravano più fighi e sognavo di essere come loro, un giorno». Saverio D’Andrea non riusciva a pensare a un futuro senza musica. E così è stato. A cinque anni ha cominciato a studiare il violino, che ha affiancato presto alla chitarra e al pianoforte. A otto, invece, sono venute fuori le prime canzoni («All’inizio erano filastrocche, pochi versi in rima»). Nell’estate 2003 il primo live: «Mi esibii con la band dell’epoca in un concerto inedito dove cantai le mie canzoni ad una piazza gremita di gente; fu come farsi un giro in un ottovolante».
Classe 1987, cantautore, compositore, polistrumentista, ha lanciato di recente il videoclip del singolo Tua culpa, diretto da Ludovico Di Martino. «Questo brano nasce in un momento di crisi. Ero reduce da una forte delusione e sentivo il bisogno di guardarmi dentro e passare al setaccio le cose che erano andate storte». Tua culpa fa parte del suo album d’esordio, che Saverio considera «il risultato del lavoro degli ultimi quattro anni della mia vita» e definisce «una macchina del tempo».
«Ognuna delle dieci le canzoni racchiuse – spiega – mi riporta indietro per capirci qualcosa in più sul presente e guardare in maniera più consapevole al futuro». Cantore di storie di persone che fanno promesse, che provano a dimenticare e a perdonare, di bambini spaventati che scoprono l’amore, di cose che non si riescono a dire, trae ispirazione dalla quotidianità: «Quello che mi succede finisce direttamente nelle mie canzoni. E finisce nella mia musica soprattutto ciò che succede nella mia testa quando vivo delle esperienze particolarmente significative».
Vincitore, come autore, nel 2013 del Premio Mia Martini con Il tuo respiro, brano interpretato da Rosa Chiodo e finalista l’anno successivo, ancora una volta come autore, al Festival della canzone italiana a New York nel 2014 con Conosco un posto, ritiene fondamentale l’incontro con Valter Sacripanti: «Ci conoscemmo durante un festival, io cantai un mio pezzo, Tutti sanno che tutti sanno, e lui a un certo punto salì su una sedia ad applaudirmi. Non sapevo chi fosse ma pensai: “Io e questo signore abbiamo delle cose da dirci”. Poco dopo iniziammo a lavorare insieme».
Come per tutti i giovani artisti, non sono mancati lungo il percorso gli ostacoli da superare: «Il tentativo di trovare un’etichetta discografica e di prendere serate sono stati i due peggiori mostri affrontati». Bambino sognatore che amava rifugiarsi nella sua cameretta per viaggiare con la fantasia, tra vent’anni Saverio si immagina ancora a scrivere: «Spero che sarò riuscito a pubblicare altri dischi, rimanendo fedele al mio modo di fare arte. Non sogno di diventare ricco e famoso, ma di poter vivere della mia musica. Poi, se proprio vogliamo dirla tutta, mi immagino anche sul cucuzzolo di una montagna. Il mio essere un animale sociale troppo spesso si alterna ad un estremo bisogno di silenzio, spazio, e solitudine».