I politici e più in generale la politica si disinteressano della cultura. O meglio: nel passato la sinistra, nel nome di Gramsci, ha usato la cultura come grimaldello per il potere, gli altri l’hanno considerata in modo paradossalmente marxista come una sovrastruttura di cui poter fare a meno. La pregiudiziale resiste ancora oggi, perfino sui beni culturali, che sono un fattore identitario per un Paese come il nostro, un potenziale bacino di consenso e, non da ultimo, un moltiplicatore economico.
Nonostante la filiera della cultura generi un PIL di 90 miliardi l’anno, in nessun programma politico per ora se ne fa cenno. Se le istanze ecologiste sono state introiettate dai partiti fino a rendere superflua l’esistenza di un partito “verde”, la noncuranza verso la cultura e i beni e le attività culturali quasi induce a ritenere necessario un soggetto politico ad essa dedicato, o almeno un movimento, un gruppo di pressione come quello di #CulturaIdentità, che verrà presentato il prossimo 6 febbraio a Milano (ore 17, Teatro Manzoni).
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Sull’onda della settimana dannunziana, nel più fulgido spirito fiumano, il Manifesto di #CulturaIdentità -idee che diventano azioni- è una vera chiamata alle armi, che in generale si appella a quel vasto mondo e variegato del centrodestra ma non solo (dalle istanze più conservatrici a quelle più libertarie), immaginando una sorta di sintesi fusionista volta al confronto con altre culture politiche, con la presunzione di essere oltre a vecchie categorie, sopra, o perfino sotto, non importa, in ogni caso determinanti.
Giurando sulle patrie lettere, con Edoardo Sylos Labini e Alessandro Giuli abbiamo chiesto ad associazioni culturali e sociali, riviste e think tank, singoli intellettuali, artisti e attori, di collaborare alla redazione di un Manifesto, con le parole che segnano il nostro impegno e con l’idea di liberare la cultura, sostenerla, difendere la nostra identità, valorizzare quell’immenso giacimento di senso che sono i beni culturali, educare alla bellezza.
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