Alla #chiamata non ci si può sottrarre

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Caravaggio (1571–1610)-Michelangelo Merisi da Caravaggio, La vocazione di San Matteo, 1599-1600, olio su tela, 322x340 cm, San Luigi dei Francesi, Roma Caravaggio [Public domain], via Wikimedia Commons
Caravaggio (1571–1610)-Michelangelo Merisi da Caravaggio, La vocazione di San Matteo, 1599-1600, olio su tela, 322x340 cm, San Luigi dei Francesi, Roma Caravaggio [Public domain], via Wikimedia Commons
Caravaggio (1571–1610)-Michelangelo Merisi da Caravaggio, La vocazione di San Matteo, 1599-1600, olio su tela, 322×340 cm, San Luigi dei Francesi, Roma Caravaggio [Public domain], via Wikimedia Commons

Una cosa è chiara. Alla #chiamata non ci si può sottrarre. Dio chiama e le cose appaiono; Dio richiama Adamo alla sua colpa e reclama Abramo perché lasci tutto ciò che ha e si avvii verso il futuro, finora deserto.  D’altronde, vox clamantis in deserto, voce di uno che chiama nel deserto, si qualifica Giovanni il Battista ripetendo la chiamata di Isaia. La chiamata è sempre individuale, chiama alla conversione totale e al sacrificio tremendo, perché una folla – i chiamati – fecondi il deserto, fondando cattedrali sull’impossibile.

Ogni chiamata (dal latino clamare) è per sua natura clamorosa, tra i golfi delle consonanti si annida il suono, il rintocco. ‘Chiamata’ è una parola di rombo e di rimbombo, i cui estremi sono il gracchiare (lo slavo antico krakati) o il gocciolare (lo spagnolo llamar ha sapore e rumore di pioggia). La chiamata, oggi, ha una vaga sintonia con il gemello opposto, la chiacchiera. La chiamata è una, indivisa, inaudita; la chiacchiera la confonde e sconfigge, riduce lo smisurato in una tazzina di caffè. Frastornati dalle chiacchiere, non riconosciamo la chiamata, che vergogna. La chiamata si compie nella risposta: gli ignari, oggi, girano la faccia dall’altra parte, di fronte alla perentoria potenza della chiamata. Chi ha voglia ancora di coltivare il deserto di rose?