Un cognome che ti resta cucito addosso come un’erbaccia difficile da estirpare. Una storia di riscatto, contro gli ambienti della camorra in cui Luigi, figlio di Diego, uno dei più potenti boss della malavita campana, è cresciuto. E dal quale ha cercato di affrancarsi.
Opera seconda di Sebastiano Rizzo, Gramigna – in sala con Klanmovie Production dal 23 novembre – trae ispirazione dall’omonimo libro-testimonianza di Luigi Di Cicco e Michele Cucuzza.
A Luigi un padre è stato negato, l’ha visto poche volte in libertà prima della condanna all’ergastolo. Allevato con amore da madre e nonna, che – insieme all’allenatore di calcio – hanno da sempre cercato di tenerlo lontano dai “guai”, Luigi viene, nonostante tutto, considerato un “figlio d’arte”. “Amo mio padre e mi manca ma non gli posso perdonare di avermi regalato questo inferno. Ogni giorno lotto di più io fuori che lui nel suo carcere”, sbotta rivolto alla madre. Una vita difficile, invischiato in ambienti intrisi fin nel midollo di criminalità, ritorsioni, malaffare. Un mondo che Luigi cerca di lasciarsi alle spalle, sognando di diventare un commerciante. Coinvolto per errore in un giro di spaccio, sperimenta a sue spese l’umiliazione del carcere, ma è proprio lì che emerge in lui ancor più forte il bisogno di essere diverso. Diverso da chi l’ha preceduto.
Il grido finale – “Non sono come mio padre!” – è un atto liberatorio di un’intera generazione, schiacciata dalle colpe dei padri, il cui nome e il cui vissuto resta cucito addosso ai figli, proprio come una gramigna.
Drammatico, struggente reso più intenso dalla straordinaria performance degli attori, tra cui spiccano Gianluca Di Gennaro (Luigi) e Biagio Izzo (Diego). Ma a lieto fine, perché una strada diversa può esistere.