Fabio Armiliato è una delle star più acclamate della lirica italiana. Definito trai migliori interpreti del repertorio Pucciniano, si è esibito in tutti i teatri più importanti del mondo: il Teatro Alla Scala di Milano, il Metropolitan Opera di New York, l’Opéra National de Paris, la Staats Oper di Vienn, il Teatro Colón di Buenos Aires e l’Arena di Verona. È anche impegnato socialmente nel ruolo di Ambasciatore per le Arti di PENSARE oltre Movimento Culturale.
Ci racconti un episodio off della tua carriera?
Nel 1995, allo Sferisterio di Macerata, durante la scena della famosa fucilazione della Tosca, sono stato ferito da un vero sparo. Trattandosi di un teatro all’aperto, il regista aveva preferito usare fucili e cartucce reali per creare spari più fragorosi. Dopo il ferimento in scena, mi hanno trasferito d’urgenza al pronto soccorso. Ho ripreso le repliche la settimana successiva, ma la gamba dove sono stato operato cedette un’altra volta e sempre in scena, costringendomi a finire ancora al pronto soccorso. Per questo episodio sono finito persino sulla settimana enigmistica.
Hai calcato i palcoscenici più importanti del mondo. Quale ti ha dato maggiori emozioni?
Per dirne uno, farei torto a tanti altri. Quello che mi ha dato più emozioni è stato il Colón di Buenos Aires. Quando ho debuttato non era stato ancora restaurato e si percepiva in modo palpabile di trovarsi in un tempio della musica. Mi sembrava di sentir risuonare la voce di Caruso, Del Monaco e tutti i più grandi che avevano calcato quel palco prima di me. Non posso, tuttavia, non citare anche il Metropolitan di New York e, ovviamente, il Teatro Alla Scala.
Hai debuttato nel 1984. Che tipo di cambiamento hai potuto constatare nell’approccio all’opera lirica, durante questi trent’anni?
Un cambiamento molto forte. Soprattutto con il passaggio al nuovo millennio. Un rinnovamento che però ha portato con sé una forte mancanza di rispetto. I compositori di un tempo necessitano di essere rispettati. Si possono fare regie innovative, anche belle, ma quando queste prevaricano il senso dell’opera è uno sbaglio. In un’opera lirica è importante sentire cantare bene, fare della buona musica; la regia, le luci, i costumi sono – e devono essere – una cornice. Non si deve mai mancare di rispetto verso il compositore e l’opera d’arte.
E nel pubblico che cambiamento hai riscontrato?
Nel nostro Paese, manca un’educazione alla musica, all’ascolto. Si sono persi i parametri, che io ritengo essere oggettivi, per definire se una cosa è bella oppure no. È diventato tutto opinabile. Nella scuola italiana manca un’educazione alla musica, ma anche al rispetto.
Hai giovani che ti seguono?
I giovani sono molto curiosi, malgrado la cattiva educazione che è stata fatta negli ultimi decenni, soprattutto nei confronti della musica colta. Credo che i giovani cerchino un senso di appartenenza verso quello che l’opera ha rappresentato. Ci vorrebbe maggior interesse, anche da parte delle istituzioni, per creare delle modalità attraverso cui i giovani possano accedere con più facilità all’opera. I bambini di oggi sono gli ascoltatori, gli spettatori, gli artisti di domani. È per questo che ho accolto con gioia la carica di Ambasciatore per le Arti di PENSARE oltre Movimento Culturale. Mia moglie Daniela (Dessì, scomparsa lo scorso anno, ndr) è stato il primo Ambasciatore di quest’associazione, e io sono molto felice di continuare a seguire una causa cui lei teneva tanto. PENSARE oltre è molto attento a permettere che ogni bambino possa sviluppare il proprio talento per un nuovo Rinascimento della società. In questo, l’arte e la cultura hanno una valenza straordinariamente importante.
La tua decisione di accogliere la nomina di Ambasciatore per le Arti di PENSARE oltre è anche legata alla volontà di dare un tuo contributo a educare il pubblico di domani?
Le cose belle spesso costano fatica, devi leggere, ascoltare; oggi, invece, c’è troppa tendenza alla velocità. Come ho detto tante volte a Elisabetta Armiato – Presidente di PENSARE oltre ed Étoile della danza italiana nel mondo – è necessario creare delle basi culturali, in modo che questi ragazzi possano avere dei punti di appoggio per affrontare la vita futura nel migliore dei modi. L’arte permette di seguire il modello della bellezza e di aprirsi a orizzonti straordinari. Essa sviluppa, in modo unico, la capacità dell’uomo di comprendere le emozioni.
Quanto è stato importante nel tuo successo avere la possibilità di esprimere il tuo talento liberamente?
Io ho avuto la fortuna di avere dei genitori che amavano la musica. Mi hanno insegnato a usare la musica non solo come divertimento, ma anche come arricchimento, sono stato facilitato in questo. Io non mi sono mai sentito a disagio in una società che amava i Beatles e i Rolling Stones. Io pure li seguivo con passione. Quando ho iniziato a cantare, la musica italiana era dominata dal cantautorato. Un cantautorato che ha dato risultati bellissimi, anche se apparentemente in contrasto con la lirica. Dico apparentemente perché se ascolti Fabrizio De André, capisci che lui conosceva la musica a 360 gradi
In un momento di perdita d’identità nazionale, credi che l’opera lirica possa dare un proprio contributo positivo?
L’Italia è sempre stata la patria della melodia, ora stiamo assistendo a un’esterofilia esagerata. Abbiamo perso, senza dubbio, un po’ della nostra identità. Qualche anno fa ho partecipato a una conferenza agli Stati Generali della lingua italiana di Firenze, davanti all’Accademia della Crusca e all’Istituto Dante Alighieri. Mi hanno chiesto di parlare dei rapporti tra lingua italiana e opera italiana. Ho scoperto che l’80 % dell’italiano che si parla nel mondo è merito dell’opera lirica
Recentemente ti abbiamo visto nello spettacolo trasmesso da Rai Uno, in diretta dall’Arena di Verona, per ricordare Pavarotti, a dieci anni dalla scomparsa. Che ricordo hai del grande Maestro?
Luciano ha lavorato spesso con mia moglie Daniela. Per me è stato un grande amico, ci divertivamo a giocare a carte. È stato anche un grande modello, ho imparato Lucia di Lamermoor e la Bohème ascoltando la sua voce. Mi ha anche insegnato a portare la lirica al di fuori dei teatri d’opera. Per esempio, ho giocato con la Nazionale Cantanti nella stagione calcistica 2011/2012. I cantanti d’opera non sono necessariamente dei parrucconi. Il mister Sandro Giacobbe mi mise in difesa, anche se il mio ruolo prediletto da ragazzino è sempre stato quello di attaccante. Ho ricevuto grande rispetto dai compagni di squadra. Mi chiamavano Maestro.
Sabato 21 ottobre a Palazzo Bovara – Milano, hai chiuso con una tua esibizione l’evento di PENSARE oltre, Scienza e Cultura a confronto per un Nuovo Rinascimento.
Ho aperto l’esibizione dedicando a Daniela un’aria famosissima, E Lucevan le Stelle, da Tosca di Puccini. Poi, una carrellata di brani ispirati al mio ultimo spettacolo: RecitalCantango, in cui ho unito la mia passione per il tango, all’opera lirica, alla canzone napoletana e alla romanza da camera. Il tango ha rappresentato una delle prime esperienze di musica leggera della storia. Non tutti sanno che il grande tenore italiano Tito Schipa è stato maestro di Carlos Gardel, il più grande compositore di tango argentino al mondo. RecitalCantango è uno spettacolo che sta avendo un grandissimo successo. L’ho già portato in Argentina – a Buenos Aires e Montevideo – ricevendo numerose standing ovation!