Violenza e società divinizzata

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Su un foglietto bianco senza data, Baudelaire annota un sogno particolarmente inquietante. Due torri, gemelle, stanno crollando ed è necessario darne notizia alle “nazioni”: “In cima, una colonna cede e le due estremità si spostano. Ancora non è

Roberto Calasso
Roberto Calasso

crollato nulla. Non riesco più a ritrovare l’uscita”. A Baudelaire risponde, nel maggio 1933, Céline: “Andiamo verso la violenza. È vicinissima”. L’anno successivo, Drieu la Rochelle proclama che la guerra sarebbe scoppiata nel ’39. Il pronostico era esatto. Gli esempi sono citati, tra molti altri, da Roberto Calasso nel suo ultimo libro, L’innominabile attuale (Adelphi, pp. 190, € 20). Senza commento alcuno. Lo scritto di Calasso precede tali stralci di esperienza, talvolta autentiche veggenze, in cui poeti, filosofi e scrittori sembrano gli officianti dell’unico culto sopravvissuto alla secolarizzazione: il pensiero laico, meglio ancora se ateo.

Se la filosofia è amore per il sapere, inteso come conoscenza dell’attuale, Calasso sta a pennello in una rubrica di filosofia, e del resto la sua opera è un continuo indagare il senso del mondo in un essere qui e ora asistematico che è proprio del pensatore per frammenti, che come editore ha dimostrato di apprezzare in modo particolare. Tuttavia, se Calasso indaga qui la violenza, non si tratta solo di quella del terrorismo islamico e dei totalitarismi del Novecento. Lo scrittore gira il coltello nella piaga aperta della società secolarizzata, che tollera tutto fuorché il sovvertimento di se stessa ed è responsabile dell’azzeramento del sacro.

A questo, spiega il Nostro, ha sostituito il culto di se stessa, con involontari riti e codici di comportamento, altrettanti di esclusione – chi non si omologa finisce per ritirarsi dal mondo in contemplazione, proprio come gli antichi anacoreti – e sacerdoti laici. I primi, sono Durkheim e Saint-Simon, studiosi della società e pionieri de “il culto della società divinizzata”. Se Simone Weil, con il consueto acume, spiega che il sociale imita il religioso “fino al punto di confondervisi, salvo un discernimento sovrannaturale”, c’è in tutto questo un’indicibile violenza. Che non tortura né uccide la carne, bensì ottunde le menti, imbriglia le anime e lo spirito, rischiando di assassinare l’uomo. L’umanesimo – spiega Calasso – non è più quello dei Pico della Mirandola e dei Marsilio Ficino. La loro Firenze – bestemmia – è oggi un museo a cielo aperto, un luogo di morti visitato infatti da turisti, non da pellegrini cristiani o da dotti viaggiatori nord europei.

L’Homo saecularis si aggira tra le rovine del nostro tempo lieto di farlo, qui come altrove: l’importante è sbarazzarsi di ogni fede. Peccato che l’essere così autoreferenziali porti alla forma più perniciosa di superstizione, e che la vanità del tutto bussi alla porta. Calasso non indica una via d’uscita, descrive il tunnel in cui stiamo arrancando. Tutto è vano, senza profondità di senso, sembra suggerirci: persino il terrorismo islamico, che colpisce tutto ciò che è secolare, ne fa parte involontariamente. Non vi sono rifugi, fuorché quelli scovati dai monaci nei tempi barbari: ritirarsi jungerianamente nel bosco. Lontano dallo stridore del mostro mondiale, forse si respira ancora.