Come molti artisti, anche Vittorio Angini era partito dal figurativo, per poi arrivare a una forma di scomposizione tramite la quale il pittore indaga la materia invisibile della realtà, trasfigurandola. Tra le sue mostre più rappresentative c’è sicuramente da citare quella avvenuta nel 2007 al Vittoriano di Roma, quando, su segnalazione di Josè Van Roy Dalí, figlio del famoso Artista spagnolo, fu invitato dal critico Lucia Bonacini alla “Quadriennale d’Arte Contemporanea Leonardo da Vinci”. Tra le altre mostre importanti potrebbero essere citate “In mostra con Dalí ” nella Galleria Tondinelli di Roma del 2010, quella nel Museo Fondazione L. Matalon a Milano nel 2014; quella, ancora nella capitale, al Chiostro del Bramante nel 2014 e infine quella a Castiglion delle Stiviere, nell’Altroformato Art Gallery nel 2015.
Non è facile connotare la pittura dell’autore aretino, in bilico tra astrattismo, surrealismo e cubismo. Andando al di sopra delle etichette, si può ben dire che quella di Angini è una ricerca in cui egli ci mostra una porzione di realtà che normalmente non ci è data conoscere; una realtà che non si presenta sotto mera bellezza formale, ma intrisa di significati e contenuti importanti.
Prendiamo per esempio la serie detta “I mostri meccanici”, dove egli dipinge le ruspe come se fossero realmente delle creature malefiche, che diventano a seconda denti terribili o tentacoli da brividi. Egli vede in questi macchinari l’avvento di una società distruttrice, che ha raso e sta radendo al suolo una civiltà ricca di bellezza e di storia. Esemplari sono anche i dipinti religiosi dell’artista, dove la figura cristologica si carica di un’emotività molto intensa che non può fare altro che toccare la sensibilità dello spettatore. È molto intenso in effetti l’impatto viscerale di questi lavori, che, dipinti con una tecnica di certo particolare, riescono a trasmetterci i più variegati sentimenti, portandoci a una dimensione di poesia e di umanità.
Le figure sono a volte trattate alla maniera cubista, rendendo il soggetto scomposto e dipinto in modo spigoloso, immerso in una dimensione dai mille colori, come accade per esempio nella serie “Oltre la scomposizione”, dove vengono dipinti scorci o ritratti – troviamo in questa sede anche un bell’autoritratto dell’artista – tramite questi stilemi.
In altri frangenti troviamo un Angini più classico, dove la figura umana e l’ambientazione riemergono con tutti i loro connotati reali, ma circondati da un impasto di colori che rende il soggetto decisamente unico, come accade per esempio ne “Gli Innamorati”, una tenera coppia rappresentata in tutta la sua amorosa terrena dolcezza.
Vittorio Angini così ci parla di una realtà nascosta attraverso la sua inconfondibile tecnica, senza però cadere nella freddezza, ma offrendoci sentimenti decisamente umani e poetici.