Quell’asteroide sulla famiglia…

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download (96)E’ bufera sulla campagna pubblicitaria del Buondì Motta. Al centro della scena una sorridente bambina che reclama una merenda golosa e leggera, e una mamma, incredula sull’esistenza della stessa, che pronuncia la frase “possa un asteroide colpirmi, se esiste…”. Detto fatto. In pochi secondi l’asteroide colpisce mortalmente la mamma. Ora tocca anche al papà. A breve, come annuncia, Saatchi & Saatchi (agenzia pubblicitaria ideatrice dello spot), arriverà il terzo protagonista nonché vittima. Risultato: famiglia annientata.

 A pochi minuti dalla sua messa in onda il web è impazzito: tra indignazione di mamme e sostenitori “dell’ironico” (cinico)messaggio pubblicitario, non si fa altro che parlare della storica merendina italiana.

La domanda che ci si pone è: come verrà accolto dai bambini? Può la morte di un genitore essere presa in maniera divertente?

C’è chi accusa gli indignati di non avere vena ironica. C’è chi sostiene la Motta per essersi messa in antitesi con l’immagine di famiglia proposta per anni da Mulino Bianco (forse gli stessi che la accusano di non aver mai utilizzato la formula “famiglia arcobaleno”). Ma, cio’ che ci si chiede è: in un periodo di morte, tra terrorismo e disastri naturali che dilaniano il mondo (e che ha visto realmente dei bambini perdere i propri genitori), come si può accettare benevolmente un tale spettacolo, seppur in chiave grottesca?

Ci sono poi coloro che parlano già di successo sulla scia della massima wildiana: “l’importante è che se ne parli”. Su tale concetto, è vero, molti hanno costruito una gloriosa carriera: lo stesso D’Annunzio a soli diciasette anni inscenò una finta morte da cavallo per far parlar di sé. Ma all’epoca la tv non esisteva e il messaggio circolava su media fruibili da consapevoli spettatori. In Tv tutto è alla portata di tutti.

L’effetto shock senza dubbio è assicurato. L’attenzione attirata.

Ma cio’ che fa risultare la pubblicità di cattivo gusto è: il pubblico a cui è rivolto il prodotto (i bambini) –che non possiede la maturità e, di conseguenza, gli strumenti necessari per cogliere “l’ironia” ma solo il lato tragico di un tale sketch-, e il momento storico (sbagliato)che sta attraversando non solo il nostro paese ma il mondo intero.

La morte non può ora essere escamotage per vendere un qualsiasi prodotto, ancor meno uno rivolto ai minori. La morte poteva – e forse può ancora- essere vincente nelle campagne elettorali, come quelle post-belliche della Democrazia Cristiana (“Salva i tuoi figli” recitava un famoso manifesto) che cercavano di creare un alone di terrore intorno al pericolo comunista. In uno spot di una merendina non ha senso.

 Anche Charlie Hebdo -fortemente sostenuto dagli “ironici” del web (c’è chi difendeva a spada tratta la libertà di pensiero anche per l’immoralità delle vignette) con il motto “Je suis Charlie”-  per vendere più copie si piegò allo squallore di una becera ironia sui morti del terremoto del centro Italia. Gli stessi sostenitori “dell’umorismo” del giornale francese, si sono poi ritrovati beffeggiati come italiani dallo stesso Charlie.

Accettare la piena libertà di espressione non può essere arma a doppio taglio? Non può minare i valori, l’etica, la morale?

E’vero, qui la morte non è reale, ma è pur sempre l’immagine della morte che sconvolge. Se poi è degli affetti più cari, ancora peggio.

Così, il marketing, forse in preda a una crisi creativa, decide la via del coinvolgimento emotivo, nella sua espressione peggiore.

Ci si chiede allora: si può in pochi secondi distruggere il più forte valore nostrano per rispondere alle squallide leggi di mercato?

Essere privi di ironia vuol dire davvero non rallegrarsi della morte -seppur scenica- delle nostre radici?

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