Il palco come la vita è un gioco

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Ho sempre diffidato di tutti quegli stages, di quei coach americani basati sulla psicanalisi, al Metodo stile Actors Studio ho sempre preferito la lezione di David Mamet del suo saggio “I tre usi del coltello” : non inventate nulla, non negate nulla, parlate in modo chiaro, state dritti e restate alla larga dalle scuole. Quando mi è capitato di frequentare dei laboratori di recitazione a Los Angeles mi è stato detto “ma voi italiani, voi latini, avete la comunicativa, l’istinto, a cosa vi serve la psicanalisi per interpretare un ruolo”. In effetti i modelli dei vari Mastroianni, Sordi, De Sica erano altri, giocavano a scopetta con la troupe fino a pochi secondi prima di andare sul set per poi lasciare un segno indelebile nella storia del cinema mondiale. Serve veramente parlare con il proprio inconscio per trasformarsi in d’Annunzio, in Nerone o in Giuseppe Mazzini? Se l’inconscio rappresenta quella dimensione che contiene pensieri, istinti, emozioni, si. Io con il Vate c’ho parlato in sogno, mi ha detto: “Divertiti”. E lo faccio quando sto su un palco con la consapevolezza però che ci vuole anche la tecnica a supportare l’istinto creativo. Lo studio applicato alla voglia di sedurre sempre il pubblico. Il segreto e’ tutto li’, giocare con il personaggio, anima e cuore, cavalcare le emozioni ma con la mente sempre lucida. Allora si, che si può tornare al senso di quell’azione, tornando semplicemente a dire: to play.

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