Ciò che più colpisce di queste poesie di Mariangela De Togni (la raccolta, edita da Fara Editore nel 2016, si intitola Si può suonare un notturno su un flauto di grondaie?) è la presenza costante di luce, una fiamma interiore che si trasforma senza sosta in verbo, anzi in verso, completamente permeato d’amore per la vita. Il sottilissimo velo di malinconia che a tratti fa la sua comparsa in superficie, nulla può dinnanzi allo stupore e all’incanto per quanto pertiene alla creazione divina. Tutto è evidentemente opera di una sapienza superiore che tesse l’ordito di una tela perfetta, dove trova il proprio spazio la totalità di ciò che naturalmente esiste. Un ruolo di primo piano – sovente si incontrano nei componimenti di questa silloge – è riservato agli elementi e alle forze di natura come la terra, il mare, il sole, il cielo e il vento, che nelle loro molteplici combinazioni, ci vengono raccontati in quell’aspetto più delicato e sereno che li contraddistingue: Si sta vestendo di luce / il mare e brilla / come una gemma nell’azzurro / scivolando sulle ali / del vento. / La riva affonda in un riverbero / tra il rosso e il verde / cupo, / dal quale scaturiscono / scintille di sole / le ultime / prima che la luna / versi il suo argento liquido / come un mosaico / frantumato.
La poesia di Mariangela De Togni si può definire raggiante, oltre che carica di musicalità a tal punto che mentre si legge sembra quasi di essere accompagnati da note melodiose. La silloge si presenta come una “sinfonia incantata” per utilizzare la precisa espressione data da Giselda Doka, dove i pensieri si lasciano trasportare come farfalle verso la luce / viva del sole.
I colori diffusi paiono condizionare in positivo anche la memoria; il ricordo infatti, quando emerge, non è in bianco e nero, piuttosto tinto di emozione potente, per nulla sbiadita dal trascorrere del tempo. Il ricordo diviene così poesia che esplode gioiosamente nel presente, in cui anche si ri(vela) il mistero del Divino, che può forse afferrarsi compiutamente solo grazie a una piena immersione nel silenzio. È un silenzio paziente, foriero di pace e riflessione, stando tuttavia l’autrice non solo assorta nella contemplazione del tutto, ma ricercando anche una compenetrazione d’intenti, una fusione con il respiro del mondo: Nella penombra / del lungo chiostro solitario / la notte si perse / in un brivido di luce. / Solo un mormorare / appena / nel tremolio dell’acqua / scrivendo pensieri / sulla superficie liquida / fra ombre e rive / e angoli di mistero. E ancora, nella poesia breve intitolata Attesa leggera: Scrivo l’attesa / nel sole e l’ombra / della sua parola / nel silenzio, / cercando / ai bordi del tempo / l’impronta divina / e nel sospiro / delle cose…
Si legge nella prefazione di Rosa Elisa Giangoia alla suggestiva silloge: “Silenzio e solitudine, cercati e accettati per una più intensa e consapevole penetrazione nel sapere, diventano elementi indispensabili per gratificanti sensazioni di consonanza e di immersione nella realtà che appare luminosa in una policromia sfaccettata di trasparenze in cui prevalgono le tonalità e le sfumature dell’azzurro del cielo e del mare.” Solitudine e silenzio che permettono uno scambio profondo con l’Alto che si intreccia alla vita nella sua interezza – natura, animali e uomo – attraverso un dialogo intriso di misericordia: Perché Tu Signore sei il volo / dell’aquila, / il battito del pettirosso, / il fiore di campo, / la pazienza inattesa / per le tue creature / che nel silenzio la tua voce / chiama, e che risponde / da questa tenebra di terra / alla tua luce che sazia / di misericordia.
Scrivere (questo il titolo della poesia a p. 25), per Mariangela De Togni è: […] diventare sostanza / nell’assopirsi delle cose, / […] spargere profumo / sulla terra e far nascere pensieri. / […] È far nascere germogli di gioia / in equilibrio sulla tela della vita / passando a piedi asciutti / sul greto dei fiumi. Scrivere è cogliere lo stupore / dentro il calice del sospiro.
Ecco come la componente dello stupore insieme alla spiritualità e al fiducioso abbandono, tornano forti ad indicare la strada che il pensiero mai affaticato percorre, quello della fede e della conversazione costante con il Divino: O divina Madre, / io vorrei sentire la tua voce / come sul mare di Galilea /quella del Figlio farsi / respiro. E, ancora, tra le altre, nella poesia Cercarti, in chiusura della raccolta, con questi versi: Cercarti / per adorarti e semplicemente / dire che Tu sei l’Unico, / per me, il Solo, il Tutto, / l’Onnipotente. / Quando più del giorno / mi stupirà la notte, / col suo grembo stracarico / di luce.
Non compaiono nella silloge poesie riferite a presenze umane, fatta eccezione per Un raro fiore, dedicata a Celina, consorella orsolina (Mariangela De Togni è suora delle Orsoline di Maria Immacolata di Piacenza) la cui vita, come sempre si legge nella prefazione, “è stata contrassegnata dalla stupefacente presenza del divino e di cui è in corso la causa di beatificazione”. Si tratta di un componimento dove compaiono versi bellissimi, probabilmente tra i più evocativi della raccolta: Così, ho pregato ciò che posseggo / di più luminoso, / ho pregato il mio stupore. Questi, insieme ai seguenti: Scelgo la parte migliore / che mi assomiglia, […] – contenuti nella poesia Posso vegliare, ci regalano forse l’intuizione di come, per Mariangela De Togni, il cammino infaticabile verso la Verità sia la parte più autentica del viaggio chiamato vita: Ho ancora olio / nella lampada e posso / vegliare sulla pagina / di friabile grana / del mio giorno.