Massimo Triolo, artista polimorfo fra disegno e scrittura

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Latte con Lame - Arancia MeccanicaUna personalità poliedrica quella di Massimo Triolo, un giovane scrittore e artista aretino, che ormai da molti anni si dedica sia alla pittura che alla poesia. Più che di pittura, si dovrebbe parlare di disegno, visto e considerato che le sue opere sono nella larga maggioranza in bianco e nero; opere dove l’autore utilizza la china, proponendo lavori stilizzati, talvolta provenienti dalla più intima fantasia, talvolta da riferimenti reali, spesso cinematografici o letterari, come accade per esempio per “Latte con Lame – Arancia Meccanica”, legato al famoso romanzo di Burgess già nel titolo, ma anche alla geniale trasposizione cinematografica di Kubrick, e dove accanto alla china ravvisiamo l’utilizzo dell’acrilico. “Riccardo III” è un altro caso di questa tipologia, dove il protagonista – storpio nel corpo come nell’anima – si trova all’interno di un’atmosfera tenebrosa, dai toni bianchi e neri, come in una lotta tra bene e male senza tempo. Ma i riferimenti di questo tipo sono numerosi, basti citare, per esempio, anche gli omaggi al regista Herzog o a poeti e scrittori d’oltreoceano – anche afroamericani – mitteleuropei o italiani come Pasolini, nel ritratto del quale Triolo inserisce una esplicita citazione dalle “Poesia in forma di rosa”.

Altre opere, come detto, provengono da una fantasia che scompone le forme portandole a essere distanti dalla realtà, come accade per “Natura Morta con Datura”, nella quale strutture libere nello spazio costruiscono oggetti multiformi e curvilinei, che mettono in risalto tra l’altro anche la capacità miniaturistica dell’artista, sempre molto attento alla tecnica e allo stile. Questa grande attenzione stilistica si ravvisa anche nel Triolo scrittore, capace di giocare con diversi registri linguistici con risultati sorprendenti. Quest’anno l’autore è giunto alla sua quarta pubblicazione poetica, che prende il nome di “Acini di Sangue”, pubblicata con la casa editrice Ensemble di Roma. Le altre erano state “Due Chiacchiere con il Diavolo”, “In Ritardo sulla Scena” e “Ratafià” – che non è una raccolta di poesia, ma di racconti. Lo stile di Triolo è multiforme ed A - Viscontieterogeneo, così come lo sono i contenuti. A volte assistiamo a un linguaggio fortemente emotivo, altre volte intellettuale, dove non di rado si riscontrano riferimenti filosofici. In ogni caso la sua poesia riesce a trascinarci dentro di sé, grazie all’intensità che emana. Sovente si tratta di tematiche malinconiche, decadenti, maledette, sanguigne, che mettono in luce la fragilità dell’essere umano, costretto a confrontarsi con una vita che non sempre accarezza, ma che sa anche colpire duro. L’autore ci racconta questi sentimenti in maniera mai scontata, grazie a un’elevata qualità di linguaggio con la quale riesce a esprimersi in un modo acuto e pungente che non risulta mai mediocre.

Massimo Triolo, neanche quarantenne, è uno di quegli esempi di esistenze concesse completamente all’arte, che si consideri con questa arte figurativa o scrittoria. Egli riesce a dare forma alle sue emozioni sia con i tratti di un disegno che con i versi di una poesia, non lasciandoci mai indifferenti.