Venezia, un viaggio tra arte, musica e magia

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IMG_3007Se provassi a raccontare Venezia alla fine del mio viaggio, forse vi parlerei del Tempio Ossario dove venne sepolto il soldato Leonardo, mio prozio. Sua madre Laura non accettò mai di dover andare a cercare la storia di suo figlio in mezzo a tutti quei corpi senza nome e francamente non lo farò nemmeno io. Partiamo invece dall’inizio: fermata Stazione S. Lucia. Esco fuori, di fronte a me il mare e poi la chiesa di San Simeon Piccolo. Respiro-rido-respiro-rido così forte che quasi mi vergogno; “Tranquilla” mi dice un passante “ciò che ti fa ridere si chiama estasi, a Venezia succede a tutti così”.

Il vento è umido c’è afa, c’è sperdutezza e poi ci sono io; passi svelti, corpi che vanno e che vengono che si salutano, si baciano e si sbilanciano sui vaporetti, corpi che si perdono tra i vicoli stretti e poi tanti gli occhi che assalgono altri occhi, come se il “fissare” fosse per alcuni uomini un mestiere. Allora mi viene in mente un pensiero: lo sguardo veneziano è uno sguardo galante che si affaccia agli anni nostri per sbaglio. E’ come se i “guardatori veneziani” dicessero: preparatevi o voi che entrate, perché Venezia la Serenissima sa bene cos’è l’amor e noi ancor di più. Mi compiaccio e continuo a costeggiare la riva questa volta con fermata in piazza S. Marco: ponticelli scalini frecce per non perdersi – ma qui se non ti perdi non vale!- mandrie di turisti che boccheggiano per le calli: c’è la Biennale che li attende.

Arrivo finalmente in piazza San Marco, è la cartolina che tutti si aspettano, una Venezia a numero chiuso, insomma; per pochi intimi possibilmente ricchi, senza tacchi e con briciole nelle tasche, perchè fa sempre figo essere assaliti dai piccioni con selfie. Bellissimo chiaramente, però io voglio un’altra Venezia, quella che i bambini si giocano a pallone, quella che non mi aspetto, quella che profuma di panni stesi nei vicoli e che va in processione, mi hanno detto che esiste ancora. Mi fermo invece sul celebre Ponte dei Sospiri. Ecco, caro Lettore è qui che mi morde qualcosa dentro: uno spavento, una voce. Sarà perché sono una provinciale, ahime!

E invece no, mi sbaglio; so bene che cos’è che morde: si chiama vastità e il mio spavento ha a che fare con la meraviglia. Sulla sinistra del ponte il chiostro più antico di Venezia dove è stata allestita la mostra “Viva Vivaldi” dedicata alla vita del grande musicista veneziano. Il chiostro (si trova dentro il Museo Diocesano San Marco) porta il nome della Santa Apollonia ed è il luogo centrale di un monastero dove i monaci benedettini fino al 1200 passeggiavano e pregavano. Antonio Vivaldi conosceva bene questo posto, mi racconta Davide Rondoni (poeta e direttore artistico della mostra), era la sede del capo dei preti della Basilica di San Marco, e Vivaldi che era un prete, anzi il Prete Rosso suonava il violino proprio a San Marco – per tutta la vita insegnò alle povere della Pietà.

Ma chi era davvero Antonio Vivaldi? Decido di andarlo a scoprire: sarà un viaggio emotivo dentro il “mistero” del genio musicale, mi ripete Rondoni. Ha ragione. La mostra è un percorso suddiviso in tre sale, l’ultima però è una vera rivelazione. Come in un sogno ad occhi aperti le mura si animano e si è avvolti da un racconto che è una esplosione di colori, di odori di suggestioni di immagini; appare come fosse uno spettro-spettacolo l’immagine di un bambino di otto anni che suona meravigliosamente il violino e che tira un respiro di sollievo quando poi finisce – il respiro, è tutto in un respiro-.

Mi commuovo pensando che la grandezza purtroppo non è più l’ambito in cui si muovono i grandi. Forse davvero Tutto è stato fatto. L`Estate di Vivaldi mi entra nella pelle: sono emozionata! – è questo l’effetto che fa, fidati Lettore. Attraverso una sorta di progressione barocca ci si commuove ed esalta allo stesso tempo. Silenzio! C’è un’ultima frase che appare poco dopo aver ascoltato il “Gloria” : è di Ezra Pound, il poeta che si innamorò del prete rosso : “quel che veramente ami non ti sarà strappato”. E pensare che le “quattro stagioni” sono il brano musicale più eseguito al mondo, e pensare che Vivaldi è morto solo e povero a Vienna, e pensare che l’Italia lo aveva dimenticato e che oggi a Venezia non esiste nemmeno un accendino, una maglietta dedicati a lui come souvenires e pensare che le sue composizioni sono tra le più utilizzate in musicoterapia.

Oggi mi domando se davvero nulla è stato strappato al grande compositore, oppure se strappare è un “movimento” inevitabile e che vuol dire aprire, ferire, varcare tra essenza e assenza il sacrificio, la distanza, l’umiliazione. Ecco, ho deciso: il mio racconto può iniziare proprio da qui: tra il ponte e il chiostro di un grande amore. Vai lettore, vieni e respira e sospira.