Antonio Puccio: “Teatri senza pubblico? Colpa degli interpreti mediocri”

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DOPPIO BEETHOVEN Sinfonia n. 5 e n. 7

Musicista, Direttore d’Orchestra e Regista. Antonio Puccio, dopo il grande successo riscosso a Milano con l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi, che andrà in onda prossimamente su Sky Classica HD, si racconta a OFF.

Maestro Puccio, ha diretto da poco LaVerdi di Milano in due Sinfonie di Beethoven (Quinta e Settima) che rappresentano compiutamente la statura artistica di uno dei giganti della musica di tutti i tempi. Cosa le resta di questa esperienza dal punto di vista professionale?
Certamente la consapevolezza e la soddisfazione di aver lavorato con una Orchestra che in Italia può, a buon diritto, considerarsi un’eccellenza… Proprio questa qualità mi ha permesso di proporre una rilettura delle due Sinfonie Beethoveniane, seguendo un percorso estetico e musicale che è decisamente più in linea con quello che ha ispirato il compositore nella creazione delle stesse.

E dal punto di vista umano?
Credo di poter affermare, con assoluta certezza, che il risultato artistico raggiunto in questa occasione è frutto di una fortunatissima simbiosi con tutta la compagine orchestrale. Escludo che si possa addivenire a risultati simili senza quella componente elettiva e sensoriale con l’Orchestra, che garantisce l’estrinsecarsi dell’energia che la musica ha in sé.

Quale è stato il percorso preparatorio di queste Sinfonie e, in particolare, quello con l’Orchestra?
Affrontare nel 2017 l’esecuzione (per di più in video) di queste due sinfonie, come di altri brani simili, richiede l’assunzione di una certa dose di responsabilità, poiché le molte esecuzioni delle stesse, da Furtwängler fino a Abbado, hanno già rivelato molti lati nascosti del linguaggio Beethoveniano. Il lavoro preparatorio svolto su questa Quinta e Settima Sinfonia ha tenuto conto di aspetti probabilmente ignorati in precedenza: mi riferisco in particolare alla scelta dei tempi in virtù di un diverso trattamento dell’aspetto fraseologico; dell’influenza tecnica ed estetica che ha avuto sull’autore la musica vocale e strumentale di Händel durante la costruzione architettonica e stilistica delle Sinfonie; e infine delle molte testimonianze desunte dai documenti Beethoveniani sull’esecuzione della sua musica, in particolare delle strette similitudini che intercorrono tra il linguaggio lettererario e quello musicale.

Quali sono state le fasi più critiche di questo lavoro?
Quando si affronta un lavoro con una orchestra con la quale non si è lavorato in precedenza (e per giunta con un numero di prove assai esiguo), il problema maggiore è quello di spostare rapidamente l’attenzione della compagine orchestrale sulle novità che si vogliono introdurre nella logica esecutiva e interpretativa delle sinfonie da eseguire, poiché la reiterata esecuzione delle stesse, nel tempo, e con sempre diversi direttori, crea una pericolosa stagnazione di difetti esecutivi difficili da rimuovere. In questo, la duttilità dell’orchestra, il rapporto di estrema fiducia verso il direttore e infine il desiderio di cercare nuove soluzioni interpretative, possono fare la differenza tra una buona esecuzione e una grande interpretazione…

Dirigere a memoria la Quinta e la Settima di Beethoven è un po’ come fare l’equilibrista senza rete di protezione… Lei dirige sempre a memoria? E perché?
Il dirigere a memoria, come ho avuto modo di dire in altre occasioni, è una naturale conseguenza del mio modo di studiare. L’aspetto che trovo più interessante del dirigere a memoria è invece la capacità di concertare a memoria: è ciò che consente, al direttore-interprete che ne è capace, di ricostruire tutta la struttura portante della sinfonia partendo dai dettagli di piccoli incisi, passando poi alle frasi e ai periodi che compongono intere sezioni della stessa, e riscrivendoli in diretta, facendo sì che la musica accada esattamente nell’istante in cui si esegue, senza che si abbia la sensazione che tutto sia già stato stabilito in precedenza durante le prove.

Cosa aveva di speciale il concerto con LaVerdi?
La fortunata combinazione di elementi che sempre più raramente si ha la possibilità di vedere insieme: uno straordinario spessore artistico degli esecutori, una fortunata sintonia tra direttore e orchestra basata sulla fiducia e sul reciproco rispetto dei ruoli e, infine, il comune desiderio di proporre una esecuzione che mettesse in luce il dirompente potere emozionale e quindi evocativo della Musica, in luogo di un tecnicismo che stupisce ma lascia dietro di sé un vuoto cosmico… Tutto questo nella consapevolezza che la magia non sarebbe svanita dopo il concerto ma sarebbe durata a lungo grazie alla registrazione video.

Da dove nasce l’idea dei video di musica classica e quale crede sia il valore di questi lavori?

Prima che il cinema facesse la sua prepotente e dirompente comparsa, era cosa assai naturale leggere un romanzo, un breve racconto o simili, sforzandosi di ricostruire, attraverso la propria immaginazione, tutti i personaggi, gli ambienti, i colori e i suoni della storia che si stava leggendo. Il cinema, con i suoi potenti e prepotenti mezzi, ha dato la sua personale lettura di molte storie che formano il nostro patrimonio letterario. Tutto ciò non è mai avvenuto con la musica, dove (a mio avviso per un errore storico), i singoli componenti di una orchestra sono l’equivalente di un cast di attori intenti a recitare ciascuno la propria parte, calati nel proprio ruolo e con gli abiti che di volta in volta il compositore cuce loro addosso. Seguendo il flusso delle immagini che in questa occasione diventano sonore, lo spettatore ha così l’opportunità di ripercorrere l’intera sinfonia che racconta la sua propria storia attraverso personaggi che si esprimono con il magico linguaggio dei suoni.

In un mondo digitale e con molti teatri in crisi, cosa ritiene che cerchi il pubblico oggi in un concerto sinfonico?
Il pubblico, da sempre, si aspetta la Verità! Persino quando non la comprende subito ed è disposto a contestarla… Gli esecutori-interpreti hanno la profonda consapevolezza di essere esegeti, cioè interpreti-traduttori. Questo è un ruolo cruciale e determinante, poiché senza di essi non conosceremmo la musica che oggi conosciamo. È proprio per questo che i Teatri, oggi più che mai, hanno una grande responsabilità nella scelta degli esecutori, siano essi cantanti, strumentisti o direttori. Dalla scelta degli stessi, dipende in larga misura l’interesse del pubblico. L’allontanamento del pubblico dalla grande musica, e quindi dai teatri, non dipende necessariamente dalla musica stessa, quanto da interpreti mediocri (scelti spesso con altrettanti mediocri criteri) che propongono esecuzioni svuotate o carenti di significato artistico.

Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi concerti?
Un maggiore e scrupoloso lavoro di ricerca di quell’ideale che mette insieme una grande esecuzione emozionale, con un raffinato lavoro di regia musicale per raccontare sempre di più una storia ancora tutta da scrivere.

1 commento

  1. Ho aprezzato moltissimo le due esecuzioni di cui si parla nell’ articolo. Il maestro e’stato veramente un esecutore impeccabile, sensibile e di rara raffinatezza. Complimenti

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