La truffa linguistica dell’ecopelle

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Nella moda, nell’arredamento, nella calzatura. Chiamano pelle quello che non è, illudendo il consumatore con false etichette green

Basterebbe la parola, in teoria. In pratica, invece, vince l’abuso e il suo utilizzo “falso e tendenzioso”. L’oggetto del contendere è lessicale, ma con una diretta conseguenza commerciale (e non solo): la parola ecopelle. La si può leggere in vari cataloghi (di moda, arredamento, ma anche di automobili). La si trova stampata sui cartellini di accessori e capi di abbigliamento, anche di griffe di altissimo livello. Ma c’è da fare attenzione: “l’ecopelle” in questione è (quasi sempre) tutto fuorché quel che sembra.

I conciatori italiani, rappresentati da UNIC (Unione Nazionale Industria Conciaria), prossimi a esporre alla fiera di riferimento dell’area pelle internazionale (Lineapelle, dal 21 al 23 febbraio a Fieramilano Rho), da anni denunciano l’uso fuorviante della parola “ecopelle” e lottano per far capire che non può essere utilizzata per definire un “materiale artificiale di aspetto simile alla pelle”, bensì “pellame animale conciato mediante un processo di lavorazione rispettoso dell’equilibrio ambientale”.

unic

Che questa sia la corretta definizione, è arrivata a dirlo e certificarlo la voce più autorevole, dal punto di vista linguistico: l’Enciclopedia Treccani con una definizione coniata dal professor Giovanni Adamo (membro del Consiglio Scientifico dell’Associazione Italiana per la Terminologia) che rinvia in modo esplicito a una norma UNI, la 11427:2015 che stabilisce i criteri della lavorazione conciaria a ridotto impatto ambientale e definisce la “pelle ecologica” nelle sue varie accezioni (ecopelle, ecocuoio, ecoleather e similari). “Primo, significativo passo contro le frodi e a favore della trasparenza per il consumatore“, commenta UNIC, ricordando che la Commissione UE, il 25 maggio 2016, ha inserito un esplicito orientamento sulle pratiche commerciali sleali (direttiva 2005/29). Prendendo a esempio proprio il termine “ecopelle”, Bruxelles scrive: “Un’asserzione ambientale può essere fuorviante se contiene false informazioni ed è pertanto non affidabile”.

Tutto chiaro? In teoria, sì. In pratica, l’abuso continua. E con lui, la fregatura per i consumatori che credono di comprare accessori, divani o abiti in pelle, sostenibili. Invece indossano o si siedono su derivati del petrolio. La cui dimensione “eco” è tutta da verificare, ma sicuramente con la pelle non hanno nulla da spartire.