In parallelo con la grande mostra su Andy Warhol che indaga l’avvento della Pop Society con baricentro propulsivo New York e l’America, al Palazzo Ducale di Genova dal 16 novembre all’11 dicembre ha preso avvio il ciclo Novecento italiano oltre il Pop.
La rassegna si propone di approfondire ciò che accadde in quegli anni in Italia, come risposta o alternativa alla Pop Art, attraverso il lavoro e la visione di quattro artisti scelti tra tanti perché particolarmente significativi ed emblematici.
“L’idea, nata insieme a Luca Borzani, è stata quella di esporre alcuni lavori del Novecento italiano. Abbiamo approfittato della conoscenza da anni di Borzani con Sergio Casoli, noto collezionista di Novecento italiano che ha favorito questi prestiti scegliendo delle opere sulla base delle mie indicazioni sui nomi degli artisti, scelti da me per la loro importanza nel panorama italiano del dopoguerra anche per la varietà di proposte come messaggio e come linguaggio dell’arte, ovviamente anche nei conforti della Pop Art di Warhol e in generale americana” ci racconta Anna Orlando, curatrice della mostra.
Si parte così dalla provocazione della Merda d’artista di Piero Manzoni, oggetto duchampiano, che riecheggia, a livello del mercato alimentare dell’epoca, la diffusione pressante di carne in scatola, lanciato poi nelle gallerie come opera d’arte (record italiano del 2007, presso Sothebys – 124mila euro per una scatoletta)a Un taglio verso lo spazio di Lucio Fontana, enigmatico artista che, per cautelarsi dai numerosi falsari delle sue opere, soleva scrivere frasi apparentemente insensate come semplice e, al contempo, efficace appiglio per un’eventuale perizia calligrafica; si passa poi agli Strappi d’artista del calabrese Mimmo Rotella, indiscusso inventore di un nuovo linguaggio artistico, divenuto celebre per i suoi décollage (manifesti lacerati dove la pittura si mischia alle immagini strappate)e per aver ispirato il celebre personaggio interpretato da Alberto Sordi in Un americano a Roma.
Il ciclo di quattro incontri, che comprende tutte opere d’arte provenienti da un’importante collezione privata milanese, si chiude infine con Alighiero Boetti e il suo Giocare in nome dell’artista, in ricordo di un maestro concettuale, versatile e caleidoscopico che produsse una grande varietà di tipologie di opere (per alcune delegò l’esecuzione manuale ad altri)seguendo sempre regole del gioco ben precise e principi come quello ‘della necessità e del caso’ (principio di Jacques Monod premio Nobel per la Fisica 1971); celebri furono soprattutto i suoi cruciverba ricamati o le tele di dama che “ suggeriscono l’alto senso del non senso. O rispecchiano il non-senso del senso” spiega Marco Vallora, uno dei relatori della mostra.
Quattro artisti che senza dubbio offrono lo spunto per approfondimenti critici su quanto accadde nel variegato palcoscenico dell’arte in un’Italia che, uscita dalla guerra, si affacciava al florido boom economico e al conseguente consumismo. Voci talvolta molto diverse dalla parlata pop ma che in qualche modo hanno segnato una svolta e dato vita a nuovi concetti d’arte.
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Per info: palazzoducale.genova.it