Cinquecentotré, tanti sono gli abitanti di San Pietro Avellana, comune in provincia di Isernia nella parte alta del Molise. Cinquecentotré persone che coesistono in 45 km quadrati circa e che sono circondate da un fittissimo bosco. Il classico piccolo borgo molisano. Ce ne sono decine e decine di paesini così che distano una quindicina di km l’uno dall’altro. Nonostante vivesse a Roma praticamente da sempre Giulia sentiva di appartenere a quella dimensione più umana. Il viaggio da Roma a San Pietro Avellana era una sorta di pellegrinaggio, non solo spirituale. Era una vera e propria prova di nervi e di resistenza, anche se in linea d’aria la Capitale distava solo 192,5 km ci volevano 4 ore di autobus e treni vari per raggiungere il borgo.
Ma una volta arrivata Giulia respirava a pieni polmoni, cosa che a Roma non le riusciva. Lì nella terra dei Sanniti lei trovava una sua dimensione. Fino a quel giorno in cui quel suo paradiso si è trasformato in un incubo riportando a galla storie antiche, vecchie ferite e la verità più crudele di tutte. Tutto era iniziato con la sparizione di suo zio Carmine Di Ianni, il custode del cimitero sannita di San Pietro Avellana. O forse quello era solo il finale di una storia cominciata molti secoli prima.
Daniele Lombardi, giornalista e sociologo, autore di La Confraternita del Lupo (Abel Books), ha concepito una storia nera, oscura fino all’estremo. Uno di quei racconti che a leggerli nelle pagine di cronaca quasi ci farebbero sperare che si tratti solo del racconto di uno scrittore con troppa fantasia. Il suo è un libro che tratta di una periferia diversa rispetto a quella tradizionale delle grandi città e per forza di cosa anche i delitti che vi avvengono sono differenti.
“Nel libro parlo della zona di confine tra Abruzzo e Molise, per la precisione dei paesi tra l’alta provincia di Isernia e l’alto Sannio, la bassa provincia dell’Aquila. Sono tanti piccoli paesi a distanza di pochi km e a separarli c’è il bosco. Il bosco credo rappresenti la paura atavica che è in noi: l’oscurità, gli animali, il pericolo. È una periferia diversa. Se ci pensi un paesino infatti è tutta periferia, nel senso che il centro del paese è la piazza. Tutto ciò che vi sta attorno – e che poi spesso è racchiuso nella natura – si può considerare come periferia”.
Non è un po’ forzato. In questi paesi spesso non accadono delitti.
“Molti episodi di cronaca avvengono in posti piccoli. Non è detto che la violenza si scateni solo nella periferia urbana o dove stanno tante persone. Non era quindi qualcosa di strano ambientare una storia con una sparizione e un delitto in un ambiente di questo tipo. Proprio perché la natura e i boschi si portano dietro un’oscurità, simboleggiano tutto ciò che ci terrorizza e che è sconosciuto. E poi c’è il fattore risonanza”.
Ce lo spieghi?
“In paesi come il mio avvengono piccoli furti, piccoli reati contro la persona, qualche storia di droga. Nessuno si aspetta che possa essere ucciso qualcuno. Poi quando succede la notizia assume una dimensione pazzesca. Risuona di casa in casa”.
Il reato viene percepito in modo diverso?
“Certo, così come la percezione della paura. È come se nelle comunità urbane la gente fosse anestetizzata alla violenza, all’omicidio, alle uccisioni. Sapere che è stata uccisa una persona a San Pietro Avellana scatena un finimondo. Una notizia del genere fa scaturire un senso di precarietà nelle persone molto più grande”.
Un misto di incredulità e spaesamento, del genere “non è possibile era tanto una brava persona”?
“Proprio perché ci si conosce tutti. Nessuno potrebbe mai pensare che il vicino di casa possa arrivare a tanto. La vita del piccolo borgo in cui accade viene sconvolta, ma non solo. Anche quella del paese vicino e di quello accanto. Il senso di comunità viene distrutto”.
Oltre ad un luogo poco noto anche la storia dietro il delitto è piuttosto insolita…
“Il luogo è lo specchio perfetto per il reato. Sarebbe stato difficile ricreare un rito sannita in un contesto urbano. Anche quando si legge sui giornali di riti esoterici e simili essi avvengono nelle campagne. Oltre ad essere una periferia diversa parlo anche di un tipo di delitto diverso. Non adatto al contesto urbano”.
San Pietro Avellana. Il tuo paese com’è?
“È uguale a tutti gli altri. Il Molise e l’Abruzzo sono pieni di posti del genere: piccoli borghi di 1.000/1.500 abitanti, un forte senso di comunità. È una comunità ristretta, in cui tutto ciò che accade è vissuto dall’intera popolazione come se fosse un fatto personale. Questo vale sia nel bene che nel male. Ovvero se accade qualcosa di male a qualcuno tutta la popolazione cercherà di aiutarlo. È anche vero che in queste realtà esistono però una serie di altri problemi: piccole invidie, risentimenti e rancori”.
Al tempo stesso una comunità così ristretta è un limite…
“Non ti offre prospettive. Non solo il paese, questo discorso vale per l’intera Regione. Chi rimane in Molise decide di lottare per non far morire il territorio. La sua vita rimane concentrata in un ambito delimitato orientato verso la scomparsa. Se si ha voglia di fare qualcosa, di muoversi in un contesto più ampio si è costretti ad abbandonare il Molise”.
Giusto, il Molise non esiste. O almeno così ho sentito dire.
“Sì è la battuta classica. In realtà il nostro territorio ha caratteristiche molto simili a quello dell’Umbria o della Toscana… Avremmo potenzialmente un’enorme vocazione turistica, solo che non siamo mai riusciti a sfruttarla”.
Eppure tu rendi una visione del Molise molto rock, anche per la colonna sonora che accompagna i capitoli del romanzo.
“Quella è la mia personale soundtrack della Regione. Per me lo stridore apparente tra una canzone dei Led Zeppelin e un contesto rurale molisano non esiste. Chiunque altro non penserebbe al rock”.
E quindi come sono il molisani?
“Sono paciosi, sereni. Amano la loro tranquillità. Sanno stare a contatto con le persone ma hanno il senso dell’estraneo”
La classica dinamica del “a chi sei figlio?”
“Sì, anche se non è legato ad una connessione diretta con il paese. È come se dovessi essere presentato. È un discorso di diffidenze verso l’estraneo che però viene superata. E da lì in poi è tutto in discesa”
C’è anche un forte senso delle tradizioni e un orgoglio per la storia dei vostri avi: i sanniti. Quasi come i romani sono legati ai fasti dell’Impero.
“La storia legata a questi territori è ricca e antica, non potevo quindi tralasciare le radici dei molisani. I territori italici sono precedenti a Roma. Parlare del Molise secondo me impone anche il raccontare dei sanniti, di storie di signorotti locali e clerici”.