“Perugia dopo l’omicidio Kercher sembrava l’inferno”

0

dozzini-sitoNessun assassino né investigatore dai molti vizi e dalle pochi virtù, però un cadavere c’è e la responsabilità di questa morte pesa sulla coscienza di qualcuno. Anche se qualcuno che non sembra avere una morale e dei valori sta facendo un po’ troppe domande su quell’albanese ricoverato in ospedale, l’avvocato De Falco. Lui è il vero personaggio oscuro di questa vicenda, a De Falco non interessa nulla di quell’uomo e della sua famiglia, il suo unico interesse è il suo cliente, o meglio l’assegno che quest’ultimo staccherà per pagare la sua parcella alla fine della storia.

La finzione ha poco a che vedere con L’uomo che manca (Lantana Editore), il primo romanzo del giornalista Giovanni Dozzini (il suo secondo lavoro La scelta è edito da Nutrimenti). Anzi si tratta di una narrazione che rispecchia la realtà e che, anche se non ha le tipiche caratteristiche e i toni scuri del noir, o forse proprio per questo, tratteggia dei personaggi che rientrano a pieno titolo nel genere. Nel suo atipico noir umbro Dozzini narra una vicenda che coinvolge due generazioni, una migrazione, l’Adriatico e una città dell’entroterra che ha vissuto di luci e ombre negli ultimi anni: Perugia.   

“La città ha subito un periodo di infangamento mediatico come conseguenza dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher (avvenuto nel dicembre 2007). Perugia è stata dipinta come un luogo di perdizione, un misto tra Ibiza e Scampia, dove alcool e droga scorrevano a fiumi. La ricostruzione è stata molto caricaturale e inesatta, quasi come se la città fosse una sorta di Sodoma”.

In realtà invece?

“Perugia è una piccola città universitaria con alcuni problemi, ma di certo non è una bolgia. È una città che si sta perdendo nella sua autoreferenzialità. È una città bellissima, ricca di storia, cultura e tradizioni. Negli ultimi decenni ha pagato il fatto di essere così bella, ha finito per accomodarsi sulle sue sicurezze”.

Quali sono i problemi cui fa cenno?

“All’epoca dell’omicidio era indubbio che ci fosse un flusso di stupefacenti eccezionale rispetto alle dimensioni della città. Ad oggi questo fenomeno continua ad esserci, anche se si è ridotto notevolmente. È stata messa in atto un’operazione ‘cosmetica’ allontanando dal centro storico spacciatori e tossici”.

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore?

“Esatto. Questa iniziativa ha peggiorato la situazione della stazione e dei quartieri prossimi, già luogo in cui si raccoglievano spacciatori e drogati. Hanno diminuito il torbido in centro concentrandolo in altre zone”.

È questa la periferia della città umbra?

“Credo che le vere periferie al giorno d’oggi siano questi non luoghi: i posti a ridosso delle stazioni ferroviarie. Sono i quartieri più difficili, sono dei porti di terra. I quartieri in questione sono in sofferenza e degradati. Questa è una periferia”.

E l’altra?

“Per me il concetto di periferia è più ideale che geografico. C’è anche la periferia delle villette e dei paesi limitrofi. Il mio paese ad esempio si trova a una decina di chilometri da Perugia, è appena oltre il Tevere. Perugia è attorniata da una corona di questi paesini. Si tratta della periferia più tradizionale della città”.

Com’ è cambiata Perugia negli ultimi quindici anni?

“È cambiata molto, come lo sono l’Italia e il mondo. Il cuore della città, il centro storico, ha risentito profondamente della crisi dei due centri nevralgici perugini le due università cittadine. Negli ultimi dieci anni infatti i due istituti hanno subito un’emorragia di iscritti. Perugia viveva di fuorisede ed era animata dagli studenti”.

Il romanzo si concentra sul tema dell’integrazione e dell’accoglienza, è anche questo uno dei problemi cui accennava?

“Raccontavo una famiglia che vuole fare da specchio a diverse generazioni. In un quarto di secolo le cose si sono sviluppate, i nuovi barbari non sono più gli albanesi, protagonisti del romanzo, adesso ci sono i profughi. L’uomo nero cambia sembianze, ma è un po’ sempre lo stesso”.

Il tuo antagonista in questa storia non fa parte, però, del canonico ambiente periferico e marginale. Bensì è un componente dell’ambiente borghese?

“Non tutti gli imprenditori di provincia sono così, né tutti gli avvocati. Mi interessava mescolare le carte rispetto a quella che è l’idea comune che il male venga da una certa parte. Ho cercato di dipingere l’avvocato in questo senso, ma cercando anche di umanizzarlo e di mettere in evidenza le contraddizioni che lo animano. Ogni uomo è portatore di contrasti”.

Se dovessi scegliere il cuore nero della città, quale sarebbe?

“È un gioco e come tutti i giochi si basa su delle semplificazioni. Nella marginalità e nel degrado vediamo gli effetti di un processo. Perugia è una città di massoni, ma non è questo suo lato a spaventarmi. Credo che il vero cuore nero stia nella mentalità di certe persone, un po’ grette, che non riescono a vedere al di là delle cinte murarie della città. Trovo questo tipo di degrado da salotto da thè peggiore e più anacronistico di quello che si vede nei dintorni della stazione”.