I suoi quadri raccontano solitudine e inquietudine, con quei ritratti inaccessibili e quei paesaggi immersi nel silenzio. Lui, americano con il cuore europeo, attinge dall’impressionismo e lo riplasma rendendolo “reale”. “Non dipingo quello che vedo, ma quello che provo“, amava infatti dire. E lui, così innamorato e assetato di bellezza, diventa fonte preziosa per l’arte e la cultura del futuro.
Il genio di Edward Hopper sarà, fino al 12 febbraio, al Complesso del Vittoriano di Roma. La mostra, curata da Barbara Haskell, curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art, in collaborazione con Luca Beatrice, racconta brillantemente un secolo di arte e di Storia, attraverso gli occhi del pittore più celebre del realismo americano della prima metà del Novecento.
Dagli acquerelli parigini ai paesaggi e scorci cittadini degli anni ‘50 e ’60, l’esposizione attraverso più di 60 opere, interessantissimi studi celebra la mano di Hopper, superbo disegnatore: un percorso che attraversa la sua produzione e tutte le tecniche di un artista considerato oggi un grande classico della
pittura del Novecento.
L’esposizione è suddivisa in sei sezioni: ritratti e paesaggi, schizzi e bozzetti, incisioni e oli, acquerelli e le iconiche immagini di donne. Nell’ala Brasini ci sono anche le opere del periodo parigino: opere come Le bistrot or the wine shop, Le pavillon de Flore, Le pont des arts e Le Soir bleu. Tra i capolavori esposti anche South Carolina Morning, Second Story Sunlight, New York Interior, Le Bistro or The Wine Shop, Summer Interior.
Inedita la sezione dedicata al suo rapporto con il cinema americano. I suoi dipinti, realistici seppur surreali, che riprendono i soggetti classici ma da prospettive originali, hanno ispirato grandi registi come Hitchcock e Dario Argento. Il primo volle costruire la casa di Psycho come la dimora dell’opera la Casa vicino alla ferrovia, mentre il secondo riproduce la sequenza del bar come Nighthawks. Ma stretto il legame anche con David Lynch, Todd Haynes e i fratelli Coen.