Dalle icone bizantine agli anarchici: la lunga militanza dell’arte

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14264116_10153643133945059_1784590282283041196_nArte e ideologia: una relazione inattuale? Per associazione, penso alla costa di un tomo ingiallito sullo scaffale di una libreria degli anni Settanta, molto consultata dall’intellò di quegli anni formidabili, quando la produzione culturale in ottica marxista impregnava di sé ogni ambito disciplinare, dalla politica alla letteratura alle arti visive alla musica (un esempio su tutti: György Lukács, “Prolegomeni a un’estetica marxista”).

Eppure, l’inattualità di questa relazione, che suona così strana nell’era di Twitter in cui la post ideologia è la gaia levità dei 140 caratteri (il cervello di un uccellino, appunto) e la disinformazione non è più la disinformacija di una volta, in realtà questo binomio non è così anacronistico, anzi: a ben pensarci, ridiventa attualissimo grazie al dispotismo culturale dei tempi odierni, governati dal politicamente corretto e dalle mammolette dei 30 all’ora in centro. Quante volte gli intellettuali, gli artisti visivi, i musicisti, gli scrittori, i cineasti si sono prestati alla politica, talvolta aderendo pienamente e consapevolmente a un’idea fino alla fine e talaltra facendo la figura degli utili idioti o dei finti dissidenti? Ma tempus fugit e la vita pure, quindi vi parlerò solo di quel che mi compete (diffidate degli esperti, in qualsiasi ambito), limitando il campo all’arte visiva.

Guardando l’arte nei secoli a volo d’uccello, essa è spesso, spessissimo stata al servizio di un’idea: sirenato-bertelli-profilo-continuo-1933-bronzo-42-x-25-cm pensi alle icone bizantine, veri e propri trattati di Teologia, alla Cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti e, quando la commissione passa dai papi agli imperatori, al Napoleone di David, senza contare la rievocazione storica (il trittico della battaglia di Legnano di Gaetano Previati) e la celebrazione politica, come il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, i “Funerali di Togliatti” del grande Guttuso e le consacrazioni di Mussolini, come il profilo continuo del Duce del futurista Bertelli. Quelle sul rapporto arte/ideologia, o arte/politica, sono considerazioni tutt’altro che inattuali: quando ti ritrovi Okwui Enwezor curatore della Biennale 2015 che fa recitare i passi del “Capitale” di Marx e la Carolyn Christov-Bakargiev che chiama Toni Negri alla sua Biennale di Istanbul, ottieni la dimostrazione di due grandi verità, ovverossia che i salottieri di Tom Wolfe non muoiono mai e che i tempi dell’apparente disimpegno post/post/postmoderno a quota 4.0 hanno in realtà aperto un grosso vuoto da riempire.

Ve lo ricordate l’anarchico Bresci? Sì, il regicida. Ora, non è più tempo di monarchi, né di streghe né di anarchici, ma a Milano qualcuno ha pensato di ricordarli; da MARS Milano Artist Run Spacela personale di Lavinia Raccanello, Ritratto Anarchico d’Italia: in mostra una serie di cartografie, via Google Maps, postprodotte con viraggio del colore al nero e incorniciate in rosso, studio topografico dell’Italia per una una ritrattistica molto speciale di anarchici italiani – quindi inutile che cerchiate via Anna Kuliscioff. 

Minimal nello spazio minimal di MARS, Ritratto Anarchico d’Italia non è importante solo per l’opera in sé, esteticamente elegantissima, e per il suo messaggio: il progetto di Lavinia Raccanello, come ogni opera di vera arte, è pregno di valori simbolici oltre che estetici, movimenta il pensiero e si presta a letture differenti, inserendosi nel contesto di un’arte contemporanea che non scioglie i legami con le idee e la politica (la politica in senso alto, quello dei Pietro Nenni e Norberto Bobbio e se non li conoscete andateveli a leggere): si pensi a Giuseppe Stampone, Santiago Sierra, Luca Vitone, Regina Josè Galindo e perfino a Maurizio Cattelan, tanto per citare i più noti al pubblico. Certo son tempi bui questi e i dissidenti non si vedono, perché non ce li fanno vedere.