De Albertis: “Milano dovrà essere la città della contemporaneità

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Claudio De Albertis è il presidente della Fondazione La Triennale di Milano, uno dei poli culturali più importanti della città. E una rubrica chiamata “Io corro per la cultura” non poteva non scambiare quattro chiacchiere con lui.

Presidente, fra meno di un mese Milano avrà un nuovo sindaco: che tipo di progetto culturale si aspetta dal prossimo inquilino di Palazzo Marino?

Innanzitutto mi auguro che il nuovo sindaco pensi a Milano come a una città della contemporaneità. In questo Paese si è cominciata a riaffermare una cultura della contemporaneità e io credo che Milano ne sia l’emblema. Penso quindi che il prossimo sindaco debba dare stimolo alla cultura della contemporaneità, in tutte le sue forme: architettura, performance, moda, design. Dovrà essere anche un coordinatore, un regista, un sostenitore delle iniziative culturali che nascono spontaneamente in tutti i luoghi della cultura, da quello più noto come quello che io oggi presiedo fino a quelli più minuti, che stanno emergendo, con l’obiettivo di creare una vera e propria narrazione. E’ chiaro che oggi piaccia molto l’idea della rete (anche secondo me molti musei devono mettersi in rete), però credo che la questione importante sia la creazione di una vera e propria narrazione, che possa trovare la giusta attenzione da parte dei cosiddetti addetti ai lavori e della popolazione. In questa logica credo quindi che il ruolo del Comune sia quello di non dare talvolta in appalto a qualcuno una gestione di un museo, come ad esempio ha fatto con il Mudec, ma magari di pensare alla creazione di fondazioni, unendo Mudec, Palazzo Reale, Museo del Novecento in una fondazione, dove il Comune è uno dei partner, in cui possano aspirare ad entrare i privati, in modo da smobilitare più forze possibili.

Se fai la mostra degli Impressionisti a Palazzo Reale ti danno di nazionalpopolare, poi si lamentano se alle mostre nelle gallerie private non ci va nessuno. La cultura (e in modo particolare l’arte contemporanea e la moda) conserva un carattere elitario. Eppure Milano, soprattutto le gallerie private di arte contemporanea, offre uno spettacolo effervescente: secondo Lei, cosa potrebbe fare la politica per “democratizzare” la cultura e far sì che i cittadini non s’accontentassero di vederla alla tivvù senza neanche cercarla?

E’ vero, a  una mostra del Caravaggio ci sono file continue, mentre la cultura contemporanea ha un accesso molto più limitato. Da questo punto di vista credo che prima ancora della politica ci sia un ruolo doveroso, da parte di tutte le istituzioni, private e pubbliche, che si occupano di cultura, di rendere la “messa in scena” del contemporaneo più divulgativa e più aperta a tutti. Forse i primi a vederla come momento elitario sono proprio le stesse istituzioni e i privati ed è quindi da lì che deve nascere questa “democratizzazione”: è un problema culturale ed è un problema di formazione. La politica può fare la sua parte nella stessa direzione: un po’ di cambiamento c’è stato ultimamente, pensiamo solo all’architettura. Fino a poco tempo fa si decantavano realizzazioni come il grattacielo Pirelli e ci si fermava lì. Mi sembra che oggi la situazione sia invece molto cambiata: si decantano l’intervento di Porta Nuova e altri interventi. Bisogna quindi che la politica faccia capire che  le città da sempre si ricostruiscono su se stesse e che ogni generazione è stata molto orgogliosa di lasciare il segno. Se invece abbiamo paura di lasciare dei segni, o se questi segni lasciano solo gli effetti contingenti e non quelli di lungo periodo, sviluppiamo fin da subito un atteggiamento vecchio (al di là del fatto anagrafico) e conservatore. Bisogna guardare la questa cultura con un occhio molto aperto, molto innovatore: su questo la politica può fare la sua. Chiaro, se diamo lo spazio a quelli che sono aprioristicamente contrari a tutto, la città non cresce, però mi sembra che da questo punto di vista la città sia molto cambiata in questi ultimi anni.

Fondazione Trussardi, Fondazione Prada, Bocconi Art Gallery ed altre:secondo Lei Milano ha ancora veramente bisogno di un Museo del Contemporaneo?

Io sostanzialmente credo di sì. Credo che ci sia un luogo. Su Milano ogni giorno si riversa una popolazione grande come la città di Bologna, perché Milano è fortemente attrattiva. Avere un  luogo per il contemporaneo è estremamente positivo: pensiamo ad esempio al successo della Fondazione Prada, un luogo meraviglioso. Se poi vado a pensare alle collezione di arte contemporanea di singoli privati, che magari tengono i loro “tesori” nei loro appartamenti e li fanno vedere solo a pochi amici, allora mi viene in mentre l’idea (non mia) di un museo di arte contemporanea, che magari a rotazione ospiti queste meravigliose collezioni. Milano ha una ricchezza poco conosciuta che potrebbe essere messa a disposizione di tanti. Un luogo del contemporaneo potrebbe essere questo, in fondo l’aveva pensato anche Massimo Cacciari quando era sindaco di Venezia, quando voleva creare ai Giardini una struttura chiamata, pensi, I grandi collezionisti di Milano. La cosa fini lì, forse anche per l’orgoglio milanese (che io rispetto) e per il loro desiderio far vedere queste collezioni ai propri concittadini. Tornando al discorso di prima, “turnare” sarebbe una buona idea: noi abbiamo fatto un museo del design che “turna”, tutti gli anni cambia, cambia il curatore, cambia il progetto di allestimento. Tanto per dirle: stiamo pensando di trovare  uno spazio per fare  un museo delle icone del design, che credo realizzeremo tra non molto.  Su all’ultimo piano avevamo allestito le icone del design e incontrammo un successo clamoroso, per cui  credo che quella del museo delle icone del design sia una strada percorribile.

Come vede la rinascita di Milano (nuovi quartieri e grattacieli)? E in questo contesto, alla luce della Sua esperienza alla direzione della Triennale di Milano, come si pone la progettualità del design?

Ma guardi, il design in quanto progetto è uno dei motori più potenti di questa città e su cui si fa affidamento per la sua rinascita e soprattutto il suo futuro.  E’ stata sempre la creatività progettuale a superare le grandi crisi. Vede,  noi stiamo attraversando una grande crisi come Paese, molto più pesate di quelle del passato: è strutturale e come tale ancora non si intravede la soluzione. Nel passato le soluzioni sono state il design industriale e i distretti industriali, ma oggi una soluzione non si vede ancora. Da qui il tema che abbiamo posto come motivo della 21a Triennale, Design After design. Come sta cambiando il design tradizionale? Fenomeni come ad esempio le stampanti 3d e quindi l’autocostruzione, diciamo, sono fenomeni che vanno molto interpretati. Mi sembra però che soprattutto in questa città i luoghi della formazione siano ricchi e siano tanti, con un’immigrazione culturale di gente moto agguerrita che non ha pura di niente ed è capace di superare regole consuete e desuete per crearne di nuove e condivise. Questo mi fa sperare che il risultato si possa effettivamente raggiungere e che quindi Milano abbia un futuro nell’architettura, nel design e nella creatività in genere. Soprattutto perché a Milano, che è il luogo della produzione dove si crea una percentuale importante del pil del paese, questa creatività progettuale è strettamente legata alla capacità produttiva, industriale o artigianale che sia. Questa è la vera forza.