“Chiediamo alla politica, agli artisti, al mondo della cultura, a tutte le organizzazioni coinvolte e ai cittadini, di firmare questo appello per una riforma di sistema e per rimettere la musica al centro del dibattito sulle politiche culturali del Paese”. Un appello accorato quello di Assomusica, l’associazione degli organizzatori e dei produttori di spettacoli di musica dal vivo, per dare una sterzata a tutto il sistema musicale, da un punto di vista economico, culturale e sociale. E per dare nuova dignità a chi la musica la fa per passione, per estremo amore, e poi per lavoro. Per i talenti inespressi, per la mancanza di luoghi fisici, per i fondi dello spettacolo, per quelle professioni non riconosciute e per abbattere quelle inutili differenze tra Serie A e Serie B, l’intervista a Vincenzo Spera, Presidente di Assomusica.
Qual è l’obiettivo di questo vostro appello?
Vogliamo ricordare alle Istituzioni che la musica, soprattutto quella live, non ha una regolamentazione legislativa adeguata alle peculiarità del settore. Servono elementi normativi che possano permettere di far crescere questo settore nella maniera più adeguata.
Quali sono i destinatari di questa regolamentazione auspicata?
In primis chi crea la musica e chi la rappresenta: gli artisti vengono considerati lavoratori temporanei e sono male inquadrati dall’Enpals. Di conseguenza la discontinuità si ritorce su tutta la filiera, quella che lavora a seguire. C’è inoltre un gap culturale tra musica di serie A e di serie B, che andrebbe completamente spazzata, così da adeguare la musica ad ogni forma di spettacolo, senza sottogeneri di sorta. La nostra attenzione si focalizza anche su tutte quelle problematiche legate alla burocrazia e all’amministrazione, per quella serie di figure professionali, come quella di organizzatori di concerti, per cui purtroppo non sembrano richieste competenze.
“Musica di serie A e di serie B”: davvero esiste questa differenziazione?
In Italia non esiste ancora il concetto che la musica popolare contemporanea sia “cultura” come e quanto a l’opera di Verdi. Quando mi chiedono che musica ascolti, io non so rispondere, perché spazio da Chopin ai Black Eyed Peas. Tutto dipende da cosa quella musica ti dona in quel momento in cui la stai ascoltando. Di musica classica se ne fa molta poca, ed è un peccato, ma chi va ai concerti non è contro nessuno: la musica unisce, non divide. Un genere, quello popolare, che sta vivendo un’importante fase di crescita in tutto il mondo: se la legislazione non si adegua, rischiamo di frenare questo sviluppo.
Un appello non solo per un maggiore sensibilizzazione culturale, ma anche per un adeguamento economico.
E’ normale che un adeguamento aiuti anche ad attingere a quel fondo unico dello spettacolo. L’alibi che viene usato è “tanto riempite gli stadi”: è ovvio che nessuno discute sui fenomeni più alti della filiera, ma si tratta di aiutare anche tutte quelle migliaia di giovani che non trovano i luoghi idonei dove crescere. Ai tempi di De Gregori e Battiato le canzoni nascevano sul palco, a contatto con il pubblico, per poi essere raccolte in un disco. Oggi è l’opposto, e spesso non si crea il giusto rapporto tra chi la musica la produce e chi l’ascolta.
Ma, concretamente, cosa bisognerebbe fare?
Ci sono teatri e spazi che potrebbero essere organizzati diversamente, ma non esistono luoghi fisici per questi artisti, che spesso non possono, causa economica, esibirsi. Ci sono inoltre migliaia di scuole di musica, spesso non riconosciute o senza sviluppi professionali. E così alcune persone, che magari avevano davvero le potenzialità per diventare delle “star”, non sono riuscite ad esplodere.
Tra i destinatari non esplicitati del vostro appello c’è anche, ovviamente, il ministro Franceschini: cosa vorrebbe dirgli?
Apprezzo molto alcuni interventi del Ministro che sottolineano il periodo utile e favorevole della produttività italiana e l’internazionalizzazione della musica italiana. Allora gli propongo: collaboriamo tutti insieme perché quest’occasione non vada sprecata, in modo che il successo di “ora” valga anche per i prossimi decenni.