I fanatici del kebab e del vegan sono tra noi!

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Fortunatamente i più, nelle miriadi di pizzerie e trattorie che costellano la penisola, raramente incrociano lo sguardo moralista e corrucciato del consumatore vegano. La scarsa disponibilità di danaro, e talvolta di fantasia, mantiene, in un ignorante limbo, la maggioranza, intenta a nutrirsi di strane sovrapposizioni di improbabili carni dei kebab come del mix poco qualitativo di formaggio, carne, pasta e verdure, chiamato pizza.

A loro insaputa, su proletarie tavole, i più continuano a comminare tranquillamente sentenze di dolore, sofferenza e morte tanto all’animale che al pesce, tanto al gambo di verza che allo spicchio di pesca, senza che nessuno se ne preoccupi. La preoccupazione sorge quando viene voglia,  in un riverbero di ricordi, d’infanzia e ci si impunta a cercare, un risotto o una cotoletta alla milanese.

Li vedi allora, per Milano, trascinarsi, affranti e stanchi, i commensali, di trattoria in restaurant, per cucine originali pugliesi, per cozze e sushi, per soje e ‘nduja, fino alla trattativa finale con cucinieri che sospirando si impegnano a provare a preparare qualcosa che assomigli al risot o al cutulet. Tanto, si sa, a Milano nessuno fa più cucina milanese!

Tutta diversa la scena, a qualche salto quantico sociopsicognomico, nei locali prestige, fatti apposta per ascoltare i segreti dei candidati e delle loro campagne elettorali. Qui chef, che rifiutano con sdegno l’appellativo di cuochi, possono preparare di tutto, l’antico ed il nuovo, il locale e l’etnico, il lardo di colonnata ed il macrobiotico azotato.

Eppure al tempo stesso non possono. Non possono non sottostare ai criteri attenti di non discriminazione, intervenuti nella vita sociale, nella città, poi nella famiglia, infine in cucina.

Con i ricchi clienti si impongono di non urtare la sensibilità fanatica di una risicata minoranza, impersonata però da signore e nipotine blasonate, che difendono sempre più a fondo, in lungo e largo, la sopravvivenza,  i diritti, i sensi, i sentimenti e la sensibilità di un ambito sempre più vasto della flora e della fauna.

Lasciato indietro l’ambientalismo, come un nonno rimbambito, qui il veganismo impera, creando una nicchia di mercato piccola ma pregiatissima dove lo spicchio di porro, una volta che sia tagliato con il suo consenso, supera di gran lunga il valore della pietra più preziosa.

Talvolta sulla via dell’aperitivo o nel ritorno notturno, suk e vip si incontrano.

Si incrociano i fanatici contrari al maiale ed i fanatici della lotta al carnivoro assassino di giumente; entrambi disprezzati dai visi ancora più incavati dei jihadisti e dei nemici dei bevitori di latte e uova, torturatori di femmine, deretani e mammelle animali.

Si strizzano l’occhio, fieri di essere sul momento i più puri sul mercato del fanatismo tanto blandito, quanto in alto che in basso.