Misticismo e sentori popular nell’opera di Lara Martinato

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L’ultima volta l’abbiamo vista a Milangeles con Chung. Ovvero nel centro, personale…incentrata sui percorsi alchemici di Ezra Pound e prima ancora nella galleria De Magistris con (toh!) L’Alchimista Pop: formazione artistica a Firenze e Parigi, lavoro (d’arte) a Roma, più un lungo soggiorno nella swinging London, dove non le sarà stato possibile, ahilei, per mere incongruenza cronologica calarsi nel mood di David Hemmings/Thomas di Blow Up di Antonioni, ma dove certamente avrà assorbito gli animal spirits di una delle città più creative sul globo terracqueo, Lara Martinato ha fatto anche più di qualche scorribanda intellettuale nella collezione di scritti iniziatici e filosofici di colui che fu detto “tre volte grandissimo”, l’Ermete Trismegisto del Corpus hermeticum, il quale ci consegnò questa versione ermetica del conosci-te-stesso: «L’uomo conosce se stesso e conosce anche il mondo, evidentemente perché si ricordi del suo compito e riconosca di quali cose debba servirsi e a quali debba servire». 

Misticismo ma anche reminiscenze popular, nell’universo di discorso di Lara Martinato, la cui opera è intrisa di elementi filosofici e alchemici ma anche propri dell’immaginario collettivo: del resto, come affermava il succitato “tre volte grandissimo”, «come sotto così sopra».

Non stupisce quindi che l’alchimia sia la fonte cui lei attinge: lo sanno tutti, ma proprio tutti, che fra pittori e alchimisti spesso e volentieri nella storia sono intercorse recondite armonie, anche in riferimento all’uso dei materiali. Una “somiglianza di famiglia” che in Lara Martinato non si arresta al semplice apparato metateorico, ma anzi dà sia la forma che la sostanza a una parte consistente della sua produzione d’arte. Si pensi alle serie L’alchimia della pittura e Dalla percezione sensoriale all’immaginazione alchemica rispettivamente, senza contare il ”viaggio” (anche analitico: l’analitica junghiana è letteralmente sommersa di elementi alchemici) alla scoperta del sé e dell’altro nella serie Corpo e Anima, che Emmanuel Lévinas, in un altro luogo del tempo, avrebbe eletto a commento iconografico del suo Il volto dell’altro:  quella di Lara Martinato è infatti un’estetica archetipica, un paradigma in cui ciascuno di noi può trovare tutto o una parte di se stesso.

E poi dice che l’arte contemporanea non la capisce.