La moda anti-insicurezza di Denise Bonapace

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2_label_webSe a Denise Bonapace avessimo chiesto quale fosse la sua parola-mantra, avrebbe senza indugio risposto: progettazione. Nell’ottica volutamente cubitale dell’affermazione ipotizzata, vi è un sano sovrannumero di idee e ricerche su tessuti e volumi. Costantemente fedele allo spirito che le ha permesso di veicolare, con esorbitante visionarietà, messaggi ecosostenibili, la designer non si fa tentare dai venticelli frivoli che avvolgono il sistema moda, ma si muove indipendente e coraggiosa nel saggio perimetro dell’abito concreto.
Progettista, laureata in Disegno Industriale, Denise firma una collezione di maglieria, e sviluppa progetti sperimentali intorno al corpo e installazioni esposte in spazi museali e pubblici. Docente di Knitwear Design presso la NABA e il Politecnico di Milano, dice di sé: «Se fossi stata una fashion designer in pieno boom economico, avrei probabilmente avuto altre esigenze. Oggi, invasi da una quantità pazzesca di prodotti e accessori da recuperare, è necessario avere più coscienza sul loro riutilizzo. Ho sviluppato nel corso degli anni diversi processi di recupero per C.O.N.A.U. (Consorzio Nazionale Accessori Usati), entrando nelle cattedrali dell’abito dismesso per progettare moda in maniera diversa». Mostrando la non impossibilità di usare oggetti destinati al macero per crearne nuovi, Denise ha presentato LABEL, un abito composto interamente da 1.100 etichette di marchi diversi – alto tre metri – installato sullo Scalone d’onore a Palazzo Reale a Milano durante la settimana di Milano Moda Donna: «LABEL ha parlato ai suoi visitatori di sostenibilità, di identità, e di nuovi obiettivi responsabili della moda contemporanea e futura. Proprio collaborando con C.O.N.A.U. ho scoperto che l’etichetta rappresenta il rifiuto per antonomasia, impossibile da recuperare. Ho pensato di impegnare questo elemento, dal massimo valore comunicativo, non tanto per provocare ma per informare sulle logiche della rigenerazione tessile. LABEL ha oltretutto una forma democratica perché mai, prima d’ora, si erano affiancati i grandi brand a quelli meno conosciuti».

dialogues_12Sotto la torre leggera e quasi trasparente delle identità tessili, Denise Bonapace parla del carico morale che ogni docente ha: «La moda che conosciamo è nata nel Novecento, in una fase storica connotata da forza e sicurezza, da valori sociali e presupposti culturali; oggi, senza dubbio alcuno, dovrebbe essere meno autoreferenziale per rispondere alle necessità odierne. Durante le lezioni, insegno ai ragazzi a progettare e a produrre la cultura dell’abbigliamento. Non è più necessario cambiare look ogni sei mesi. Le mie collezioni, per esempio, possono durare in eterno e non corrono il rischio di passar di moda a fine stagione. Scelgo colori e materiali lontani dalle logiche delle tendenze in voga. Quando progetto, penso alle necessità del corpo. L’abito è la prima cosa che usiamo, deve essere utile e farci stare bene». La via della logica ecosostenibile sarà presto percorsa da tutti?  «Lo spero. Ci sono marchi di fast fashion, per esempio, che recuperano tessuto dal rifiuto rigenerato per produrre nuove collezioni. Il loro problema, però, è il basso costo del prodotto, sintomo di uno sfruttamento del lavoro e di materiali non proprio di valore». Denise Bonapace – mantenendo le distanze da ogni effimero aspetto – ha scelto come testimonial la più colta per eccellenza, Benedetta Barzini: «Non la considero una modella, ma un’autentica interpretazione del mio pensiero. Ho ragionato, grazie a lei, su una collezione concepita sul corpo anziano. Un altro punto fondamentale del mio progetto è quello di svincolarmi dal modello che la moda propone che è quello del fisico giovane. Non credo sia intelligente prendere in considerazione un’unica tipologia di bellezza». Nella moda tutto è stato inventato e sperimentato? «Assolutamente, no. Il tempo passa e l’essere umano, adattandosi, si muove verso nuove direzioni. Il tempo, però, non verrà mai fermato dall’uomo. Questo dettaglio non trascurabile dovrebbe spronarci tutti a inventare e reinventare per creare sempre soluzioni intelligenti».