L’humus di Mirko Baricchi, per una nuova fioritura

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Baricchi Humus

“Lo sappiamo bene di che cosa parliamo quando parliamo di humus, quella materia quasi magica e preziosa frutto di procedimenti alchemici veri. Dopo la prima germogliazione era tempo di assicurare al mio fare un terreno fertile per una continuazione. Un momento necessario di stasi per far decantare il pensiero e i mezzi pittorici. Riposo. I microorganismi del corpo si depositano, le associazioni si moltiplicano. Sarà poi tempo di semina, ancora”. In questo modo, Mirko Baricchi (spezzino, classe 1970) descrive il suo ultimo lavoro, dal titolo appunto “Humus”, in mostra alla Galleria San Ludovico di Parma (fino al 26 luglio), in un denso colloquio con la curatrice Chiara Canali.

Tele e carte stratificate, dai toni ambrati e bruni, che ricordano il colore del tabacco e del miele, sulle quali l’artista ha depositato qua e là, pennellata dopo pennellata, segni, velature, strati di colore e di materia e che segnano appunto un momento di stasi, forse di somma concentrazione dalla quale poi far crescere nuove cose: “Baricchi – spiega la Canali – ha ricercato la strada della sottrazione, della riduzione, della riemersione, della rinascita (anche in coincidenza con un nuovo momento autobiografico) che si traduce in uno stile più libero, essenziale, aereo, che sa trattare le superfici pittoriche con la leggerezza e l’incanto della poesia”. Epigono degli Ultimi Naturalisti di area lombarda e padana alla Morlotti, in continuità con autori come de Kooning, de Staël, Chighine, le opere di Baricchi richiamano le stesure di Tàpies nella materia che si condensa e rastrema, mentre un secondo livello, più superficiale, affiora nelle campiture monocrome rosse, marroni, ocra che segnano “paesaggi della modernità” tra Natura e inconscio.

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Baricchi Humus