La multiforme Medea di Gabriele Lavia

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4 LOW - Medea _ ph. Tommaso Le PeraSe nel film di Pasolini Medea trovava incitamento ad uccidere i figli dall’astro dorato del sole, la Medea di Gabriele Lavia pur rispettando la classica scansione di Euripide sembra rifuggire dall’astro che illumina il giorno carcerandosi nel- l’ambiente claustrofobico di un appartamento.

Uno spazio particolare dove ogni stanza, fantastica concrezione dell’universo cupo e sconsolato dello scenografo Alessio Zero, si affaccia dentro una cellula scura dell’universo della maga. Che tutti nel corso dei secoli hanno invano scandagliato senza mai riuscire a trovare un’esauriente risposta ai numerosi interrogativi che suscita la sua presenza. Anche se, primo passo significativo, la Medea di Lavia è una giovane donna che appare fin daldall’inizio tutt’altro che viziata o vittima degli avvenimenti . Che qui si assemblano in alcuni colori campiti sul rosso e il nero di matrice stendhaliana che alternandosi per minimi tocchi diventano simboli del degrado quotidiano.

Fin da questo bagno rugginoso che nell’immaginario del regista si rifà alla vasca dove annegavano le bambine dei Sei personaggi che ricordano anche un sedicente olocausto. Così l’appartamento diventa un mondo a se stante, insieme casa borghese e ara sacrificale sede della tortura quotidiana che s’impadronisce di Medea condannandola a reiterare in eterno il rito infernale del massacro dei figli. La maga della Colchide si sdoppia così in una figura bifronte che oltre a se stessa riflette anche i connotati di Clitennestra che, in un altro bagno, attirava Agamennone nella trappola fatale.

Tutto questo dentro una cornice da film “noir” che tramuta il bagno di sangue in uno spettacolo multiforme. Dove i protagonisti sono le vittime mentre il carnefice si muta in un’estranea divinità della notte che ci ricorda l’inizio fantastico del mondo: culla insieme della vita e della morte che si confonde senza mai sovrapporsi. Tutto questo per merito dell’asciutta tensione cui si rifà questa strana edizione dove ma- gia e tormento si sovrappongono come in un gioco di specchi. Un grande monumento tragico che riconferma il talento di Lavia e degli interpreti da lui scelti a contorno di questa suggestiva messinscena. Dove a cominciare dalla protagonista, Federica Di Martino (sempre vestita di nero nei costumi di Alessandro Camera) nobilmente composta in gesti essenziali che trascorrono dal mesto sussurrare all’alto grido tragico in una prova di impressionante bravura, fino all’ottima caratterizzazione del  Giasone atletico e scattante di Daniele Pecci, al Creonte di Umberto Ceriani e alla classica nutrice di Angiola Baggi.

Fiesole, Estate Teatrale Fiesolana.

Foto. Tommaso Le Pera