L’insostenibile incoerenza dell’onorevole scrittore Edoardo Nesi

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Edoardo Nesi

“Devo ammettere che non ho quasi mai condiviso le idee del presidente della Bocconi (…) Questa è la mia gente, professor Monti. La mia gente che in tutta la vita non ha fatto altro che lavorare. Siamo milioni, e mi perdonerà se la coinvolgo in questo libro dolente, in questa disperata battaglia che le parrà di retroguardia, ma è assolutamente necessario che da ora in poi lei si ricordi di noi quando ragiona di politiche comunitarie con le persone più potenti del mondo, altrimenti ci metto poco a mandarle a Milano Tacabanda e i suoi ragazzi, a scuotere i cancelli della Bocconi”.

Diario di un imprenditore leghista? Un black blok con partita IVA? Nemmeno per sogno. È un passaggio di Storia della mia gente del non-ancora-deputato Edoardo Nesi, anno di grazia 2010. Fu questo il titolo che valse all’ex imprenditore pratese il Premio Strega l’anno successivo. Nel 2013 si candiderà (ohibò!) con Scelta Civica proprio di Mario Monti, secondo posto alla Camera in Toscana. Ma si sa: solo i cretini non cambiano idea almeno una volta nella vita.

Edoardo Nesi
Edoardo Nesi, premio Strega 2011

In questi giorni, sempre per i tipi di Bompiani, è uscito L’estate infinita, suo ultimo sforzo letterario. Ieri, venerdì 12 giugno, Camillo Langone su il Giornale ne ha tessuto le lodi, arrivando a paragonare il toscano a Fitzgerald. Di più: si riconosce a Nesi l’aver reso materia di romanzo un report economico ISTAT degli ultimi trent’anni.

Già, perché L’estate infinita è un romanzo sugli anni Ottanta, quelli del rampantismo, quelli in cui una città come Milano finiva in un drink, gli yuppies della capitale morale d’Italia facevano il buono e il cattivo tempo a Piazza Affari. Craxi e Sigonella, il Pentapartito e la caduta del Muro. Tutto bello, tutto ricco, e sì, su questo Nesi ha ragione: furono anni pingui, “rotondi e grassi come la O di Ottanta”, per dirla con un magistrale Luigi Mascheroni.

Il fulcro del problema, al solito, è il non detto. La rappresentazione che viene fatta di quegli anni è parziale, o almeno è maturata nei decenni a venire, comprensivi anche delle revisioni storiche del caso, a una faccia di quel periodo: la faccia della metropoli nello specifico, quella della grande Milano, della Roma di una nobiltà ormai all’apice della decadenza in cui però un aristocratico, incontrato un tycoon americano in visita nella Capitale per affari, lo liquidò con un sensazionale: “D’altra parte mentre voi eravate ancora nelle baracche, noi eravamo già froci”.

E cosa racconta Nesi? Lui si ferma alla faccia spesso taciuta di quel periodo, proprio per questo il libro è un’occasione persa. Avrebbe dovuto raccontare anche le magagne, molte, che gli imprenditori commettevano. Il Paese cresceva in doppia cifra ancora negli anni Ottanta, i pratesi andavano in Versilia con le Ferrari, le bionde a bordo, le mogli ovviamente a casa. Ci si comprava la villa a Forte dei Marmi, possibilmente accanto al vicino di magazzino a Prato, possibilmente cento metri quadri più della sua. La generazione imprenditoriale degli anni Ottanta fu anagraficamente la figlia della generazione del boom dei Cinquanta e Sessanta: erano i figli di coloro che dal “capannoncino” – come si dice da quelle parti – misero su piccoli imperi. Gente specializzata nel tessile, un gran bel tessile, prima che la Cina fosse troppo vicina e troppo concorrenziale. Quelli che andavano in Ferrari non erano i cinquanta/sessantenni degli Ottanta, bensì i loro figli, quelli che poi avrebbero ricevuto un’eredità di azienda e di liquidità tali da campar bene parecchi anni a venire. Il Dom Perignon, certamente, le “ganze” chiaramente, belle auto, i primi cellulari grossi come cabine… I voli a New York per vendere prodotti e poi di nuovo sulla costa dove il mare toscano è terribilmente il peggiore. Una piccola grande schiera di parvenu ripuliti che pensarono di poter fare impresa con qualche vestito firmato, la cravatta mai saputa abbinare ai calzini, e giacche con inguardabili fit, come da moda degli Ottanta.

anni 80

A fronte di questi rimasero sottotraccia moltissimi imprenditori coi piedi per terra, gente che faceva passi misurati, senza la Roma Imperiale del Forte né il Dom Perignon né la Testarossa, e sono gli stessi che navigando nei Novanta, e trascendendo i Duemila, si sono trovati invischiati in una bolla economica senza precedenti e che, nonostante tutto, ogni mattina, se non divorati dai debiti, provano ad aprire la loro azienda anche oggi, anno di grazia 2015.

I soldi fanno la felicità, vero. Nesi ricevette l’azienda di famiglia, della quale – dicono i bene informati – si sbarazzò appena il mercato entrò in crisi con l’avvento dei cinesi. Nel 2009 il buon Edoardo da imprenditore diventa assessore della Giunta provinciale di Prato, quota Pd: assessore a sviluppo economico e cultura. Nel frattempo scrive un romanzo in cui si attacca l’austerity, si denuncia la concorrenza sleale dei cinesi col quale vince lo Strega. Partecipa alle Leopolde renziane in qualità di scrittore – che nella logica spicciola di Renzi fa il paio con intellettuale – prova a entrare in Parlamento con il Pd ma gli dicono picche. Così che si butta con Monti, voluto però dall’allora patron di Confindustria Montezemolo. Viene eletto nel 2013 (lui non si votò neppure, era a Kansas City per la promozione di un suo libro: quando si dice la preminenza della cultura sulla politica…) e nel 2015 esce quest’ultimo tomo. C’è da dire che gli incarichi nella pubblica amministrazione, è risaputo, stimolano la vena letteraria e viene il sospetto che a suon di rimpiangere le belle lire degli anni de L’estate infinita, i suoi anni Ottanta, Edoardo Nesi, li abbia trovati in Parlamento.

Il Palazzo infinito, insomma.

1 commento

  1. C’è da chiedersi: che faccia ha l’illustre dottor Nesi? Dopo quelle parole nei confronti di Monti si fa eleggere nella sua lista? Ho dovuto rileggere due volte l’articolo. Pensavo di avere capito male! Invece l’autore è stato fin troppo chiaro nella cronaca di certi comportamenti.

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