Bu Settete! Maratona sindacale, ma nessuno ne parla

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Per strana coincidenza, da quando infuria a La7 lo scontro sindacale, l’occhio satirico di Crozza si è girato verso l’interno dell’emittente.

Umberto Cairo
Umberto Cairo

La7, erede di Tmc, è stata nell’ordine di Cecchi Gori jr., di Telecom Italia, prima di approdare ad Urbano Cairo già detentore con TIMedia di un vantaggiosissimo contratto di concessionaria pubblicitaria. Telecom che ci rimetteva 100 milioni l’anno pagò, caso più unico che raro, l’acquirente (120 milioni). Generosità che escludeva implicitamente azioni traumatiche del nuovo padrone sulla forza lavoro da lui definita ridondante. Da allora gli scioperi di giornalisti e tecnici si sono susseguiti uno dietro l’altro, tra gestione sparagnina e invocazione al diritto costituzionale all’informazione.

Di diritti a La7 sono esperti. C’è tutta una squadra di candidati, portavoce, ex parlamentari Pd schierati a sinistra. Ci sono i rampolli di famiglie progressive. I resti di Rai3. Floris, Bignardi, Formigli, Santoro, Travaglio, Gruber, Crozza e le Urban’s Angels (Sardoni, Panella, Merlino, Bizzarri, Tortora). Quanto alla mezza eccezione di Paragone, già vicedirettore Padania e Libero, il paron del Torino garantisce che non è più di destra.

Enrico Mentana

Insediatosi un lustro fa, Mentana ha trasformato La7 in un canale rosso a Mitraglia. Feroce con il governo fino al 2011, partecipe della canea antiberlusconiana con le interviste a Lavitola e Fini che regalarono al fondatore ed ex direttore Tg5 lo share del 10%. Poi tappetino con ogni governo succeduto al centrodestra.

La7 ha offerto una lunga serata-nottata al monologo, senza contraddittorio, del leader Fiom Landini, ma si è rifiutata di leggere il comunicato del sindacato della stampa Fnsi di sostegno alle manifestazioni sindacali antiMonti. All’epoca nel braccio di ferro con il comitato di redazione, Mentana offrì le dimissioni. Il risultato è che oggi non c’è più un comitato interno dei giornalisti, reo di avere proclamato 5 giornate di sciopero nel 2014.

Il 2015, anno di ritorno delle spoglie di TIMedia nella casa madre, è l’anno di Cairo. Il suo Torino ha battuto la Juve, l’utile si è impennato del 25%, Floris ha vinto il derby con Rai3-Repubblica per 5,41% di share a 5,05% (mentre Formigli perde sistematicamente con Del Debbio di Rete4), azionisti e “manager della Cairo Comm. e de La7 si spartiscono bonus milionari”, come ha denunciato l’Fnsi. L’emittente è cresciuta dietro il pessimo momento Rai e le carenze dei Tg Sky, almeno fintanto che i talk sopravvivono all’eccesso di noia unanimistica. Peccato per gli scioperi assenti nelle altre emittenti.

Segreto del successo è stato il contenimento del costo del lavoro di 100 giornalisti, 200 tecnici, 50 precari. E la logica del disinvestimento, e del massiccio ricorso agli appalti dei service. Tre anni senza contratto integrativo e premio di produttività. Il sogno aziendale è un’informazione di pochi condotta stacanovisticamente fino all’esaurimento fisico. Difatti il Tg Mentana costa solo 10mila euro e qualche corda vocale lacerata.

Malgrado ciò il lavoro incide a La7 per il 30% del fatturato e non del 17% come in Mediaset. Pesano 4 milioni a Floris, 1 a Santoro, un po’ di più a Mentana, una decina a Crozza e troupe.

crozza1

A La7 cercano, un anno dietro l’altro, di non dare notizia degli scioperi. Per poi ridicolmente ammetterli di fronte a titoli mancanti, servizi assenti, toppe di montaggio. Si ricorre a tutto, dai service allo spostamento su altre sedi, dalla differita all’uso improprio di chi passa. Si dimentica che far fallire gli effetti dell’astensione del lavoro chiamando forza lavoro sostitutiva ad hoc, è illegale anche nei paesi più liberali.

Tra l’Otto e mezzo registrato, la diretta Tg spostata a Milano, Crozza ha descritto il caos interno delle maratone Tv, addossando le colpe ad agenti immobiliari, imbianchini e poliziotti. A tutti, tranne che ai veri responsabili delle maratone sindacali. Cui il comico lavoratore imbarazzato suggerirebbe di farsi li fatti sua. 

L’informazione sugli scioperi nei media (e delle sue motivazioni) langue, soprattutto nella variante più sinistra di satira.  

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