L’antico e il postmoderno a Roma

85x100 gazometro B&W corniceLa realtà diventa visione, l’antichità postmoderno: una nuova mostra nel cuore di Roma ripropone l’arte digitale sotto una inedita prospettiva. L’arte digitale ha una storia pluridecennale e occupa una posizione centrale nel panorama della creatività artistica contemporanea. Ma non è una scuola o un movimento artistico d’avanguardia, nonostante sia possibile tracciare connessioni con alcuni precedenti storici del Novecento, come il costruttivismo, il dadaismo, il fluxus, fino all’arte concettuale. Una sensibilità o un tecnicismo, un’attenzione estetica o una distruzione delle categorie spazio-tempo: da qualsiasi punto di vista la si guardi, la tecnica è affascinante, perché distorce il reale in surreale.

E’ così che opera Gianpaolo Conti, uno che è cresciuto con una macchina fotografica in mano, che l’ha usata per lavoro e per passione, per ricordare e per sognare. Le sue opere sono protagoniste della nuova mostra del Margutta RistorArte, lo storico vegetariano capitolino promotore di eventi culturali e artistici. La mostra “My eyes on the Road”, a cura di Francesca Barbi Marinetti e organizzata da Tina Vannini, fino16 maggio a ingresso libero, propone trenta soggetti che operano proprio così, partendo dalla realtà sino a conquistare l’illusione.

Quella che viene proposta da Gianpaolo è una Roma inedita, che ispira l’artista ma che non viene 40x50 quadrato cornicecopiata, simile ma mai identica a sé stessa, riscoperta e ricolorata dal lungo lavoro fotografico di Gianpaolo Conti che si allontana dalla staticità dell’immagine del ritratto per dar nuova vita al luogo rappresentato. Dal Colosseo quadrato al Gazometro, dal vecchio tram all’arco di Costantino, dai muri alla tangenziale: la città entra nel quadro e viene immortalata come in movimento, coinvolta in un turbinio di colori e di vita, grazie all’elaborazione propria dell’artista, che nella stessa immagine propone decine di scatti dello stesso soggetto.

Gianpaolo ha iniziato sin da giovanissimo a fotografare e, dopo il diploma in regia, ha proseguito col realizzare documentari, cortometraggi e videoclip. Durante le lunghe sessioni di editing in sala di montaggio, ha intrapreso una sua personale ricerca sulle immagini, partendo dall’osservazione dei singoli fotogrammi, selezionandoli e riassemblandoli in sequenze di forme e colori attraverso la loro scomposizione e ricomposizione.

“E’ il frutto di un lungo excursus lavorativo: Io fotografo da quando avevo 9 anni e, dopo quarant’anni di lavoro, sono arrivato a ricercare l’irrealtà nella realtà: ogni foto contiene fino a 40 fotogrammi della stessa posa, per creare nuove sfumature e cromature inaspettate. Mi piace stravolgere ciò che vedo per raccontare qualcosa di nuovo. Molto spesso questo comporta il dissolvimento della cosa fotografata e la trasformazione in altro dell’immagine finale che, per me, è sempre una sorpresa”.

“La fotografia offre l’oggettività a cui l’artista non rinuncia – sottolinea la curatrice Francesca Barbi Marinetti – in quanto punto di contatto primario con chi poi osserva. Ma il peso del lavoro creativo si sposta tutto sulla percezione, sullo scarto e sullo straniamento che spoglia il dato oggettivo dall’ovvio. Protagonisti non sono più i soggetti ma il rapporto tra l’immagine e il fondo, gli azzardi cromatici, le illusioni ottiche e la luce. In particolare la luce artificiale che condiziona costantemente la nostra percezione e le nostre attività”.