Se la Rai sembra l’asino di Buridano

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Anna Maria Tarantola
Anna Maria Tarantola

Indecisa fra business e servizio, la Rai di Tarantola e Gubitosi si ritrova a vivere lo stesso paradosso attribuito al filosofo Jean Buridan. Un asino non riesce a scegliere fra due mucchi di fieno e muore di fame. E’ la contraddizione che la Rai sta vivendo in questa fase della sua vita. La presidente Anna Maria Tarantola viene dalla Banca d’Italia, un’istituzione antica che nasce come servizio alla collettività. Il direttore generale Luigi Gubitosi invece viene dalle aziende private. Della sua esperienza professionale prima di entrare nella Rai, si è portato dietro l’idea di numeri e sottrazioni con l’ossessione di un pallottoliere.

E’ indispensabile che il servizio pubblico sappia offrire un buon prodotto“, ha detto Tarantola in occasione di un convegno sul servizio pubblico che si è svolto a Roma il 16 gennaio e al quale hanno partecipato i rappresentanti dei principali servizi pubblici europei, del mondo dell’informazione e della cultura. “E’ attraverso l’offerta che si costruiscono, si consolidano o si possono anche mettere a rischio, ogni singolo giorno e ogni singolo istante, gli asset più importanti su cui si basa il telaio del servizio pubblico e il rapporto con il primo e più importante degli stakeholder, i cittadini: la rilevanza, l’utilità e la fiducia”, ha spiegato Tarantola. Secondo Gubitosi, invece, “Il business della Rai sono i contenuti. E noi non siamo organizzati sui contenuti, pensiamo ancora in termini di reti e canali, non di prodotto. Questo è un nostro punto di grande debolezza. Sul piano industriale è andata bene; serve invece un netto e deciso cambio di passo, di cultura e di organizzazione sul fronte editoriale. Dobbiamo pensare meno in termini di rete, e più ai contenuti facendo più marketing”.

Luigi Gubitosi
Luigi Gubitosi

La Rai, con le sue indecisioni fra i due mucchi di fieno del business, da una parte, e del servizio, dall’altra, sta per affrontare alcuni appuntamenti di svolta. Nel 2016, fra meno di un anno, lo Stato dovrà rinnovare la “licenza di servizio pubblico”, il documento che consente alla televisione pubblica di intascare il canone e di godere di alcune posizioni di privilegio nel contesto del mercato televisivo nazionale e internazionale. Fra pochi mesi, inoltre, scade l’attuale dirigenza e il duo Tarantola – Gubitosi dovrà essere sostituito da nuovi dirigenti. I segnali però non sono dei migliori. Il governo infatti non sembra in sintonia con il direttore generale e la presidente della Rai. Giacomo Antonelli, sottosegretario di Palazzo Chigi con la delega sulla Rai, sta studiando il futuro della televisione pubblica senza consultare più di tanto i dirigenti di Viale Mazzini.

Nel frattempo i vertici della Rai si stanno affannando nell’organizzazione di eventi e dibattiti sul futuro del servizio pubblico. Il convegno del 16 gennaio scorso è solo uno fra i tanti che la Rai ha organizzato in questi mesi per cercare di fare udire la propria voce anche dalle parti di Palazzo Chigi. Il risultato è duplice e, in qualche modo, paradossale. Nei dibattiti che la Rai ha organizzato e intende animare ancora nei prossimi mesi, sono invitati sempre esperti “esterni” alla Rai. Vengono dalle altre tv pubbliche d’Europa, dalle università, dal mercato privato e salgono sul podio dei convegni Rai per dire cosa è il “servizio pubblico”. Tranne che in una fugace occasione (un incontro modello “Leopolda” organizzato dall’amministratore delegato di Rai Com, Luigi De Siervo), sembra che l’attuale dirigenza Rai non abbia una reale consapevolezza e una propria visione lucida del concetto di servizio pubblico da proporre al Governo e che abbia bisogno quindi che siano altri a parlarne. Per fortuna, però, il secondo risultato di questa intensa attività di convegni e dibattiti è che si è tornato finalmente a parlare di “servizio pubblico”. Si spera che possa servire a rimettere in carreggiata una Rai che rischia di morire di fame, indecisa com’è fra i due mucchi di fieno.