Un terribile amore per la guerra

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James Hillman, Figure del mito, Adelphi 2014
James Hillman, Figure del mito, Adelphi 2014

Non avremmo dovuto rimuovere l’Iliade, spiega James Hillman. In Figure del mito (Adelphi, pp. 364, euro 32), lo psicanalista americano spiega i misteri dell’inconscio collettivo partendo dagli archetipi junghiani e dalla funzione del mito. Un capitolo tocca il nervo scoperto di questi giorni. Guerre, armi, arieti, Marte, in cui riprende un suo libro dal titolo icastico uscito nel 2005: Un terribile amore per la guerra. La contiguità di amore e guerra può scandalizzare. Ma siamo costretti ad ammettere che c’è chi la ama, anzi: la venera. La guerra fa orrore al nostro mondo così ben educato, ma non è stata esorcizzata e ci gioca brutti tiri. Cambia forma, attacca all’improvviso costringendoci a reagire. Non ha giovato all’Occidente l’atteggiamento americano, che tende a giustificarla con ipocrisia.

La guerra è un’emozione primordiale, un rito, ha una sacralità. Non compare nei Vangeli, ma c’è nella Bibbia, nel Corano e nell’epica indiana. Se per qualcuno è santa, per noi è mitica, nel senso letterale del termine. Per la filosofia platonica e quella indiana è necessaria, altrimenti non invocherebbero una classe guerriera a tutela del bene comune.

Nel guerriero si esaltano alcuni sentimenti del cuore: onore, nobiltà, coraggio, saldezza nei principi. Perciò non possiamo scacciare Marte dalla nostra storia, né negare il “carattere trascendente” della guerra. La sublimazione passa per l’accettazione, sembra dirci Hillman. Accettando la natura dell’umanità e della storia, si capisce che pace e guerra sono collegate e la prima spesso è solo la fragile conseguenza della seconda.