“La vita che ti diedi” è sogno. E incubo

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Pochi testi nella folta teatrografia di Pirandello sono più elusivi e spettrali della Vita che ti diedi, un capolavoro fino a qualche tempo fa misconosciuto dai più e inspiegabilmente trascurato persino dagli specialisti proprio per la novità della sua struttura policroma e volutamente metafisica. Che, più per comodità di collocazione che per autentico scandaglio del suo eccentrico contenuto, avrebbe dovuto semmai suggerire agli estimatori dell’opera drammatica dell’autore un debito impressionante con la drammaturgia dell’amico Massimo Bontempelli. E soprattutto con quella Guardia alla luna rappresentata per la prima volta nel 1916 e cioè ben sette anni prima del testo pirandelliano che metteva in scena, guarda caso, la tragedia di una madre che invano cercava di riappropriarsi del proprio figlio rubato dalla luna. Come, a sua volta accade alla protagonista della Vita che ti diedi la quale non solo si chiama Donna Anna Luna ma tenta addirittura di negare la morte dell’unico figlio appropriandosi del neonato atteso con trepidazione dalla donna innamorata del figlio scomparso in un impossibile rimando al suo lontano passato di mater familias. Da noi le messinscene importanti di questo testo problematico dove Pirandello attinge alla poesia pura delle immagini e di ciò che sottintende ed allude ad una autentica psicologia del profondo si contano sulle dita. A cominciare dalla scomposizione strutturalista che ne operò  Castri fino alla lettura in chiave realistica di Sequi più ispirata ad Henry James che al mondo di Pirandello auspice un’attrice di rare capacità analitiche come Anita Laurenzi. Ora Marco Bernardi in un momento di grazia ispirandosi alla pittura metafisica tra Casorati e, su opposto versante, alle sconcertanti immagini di Turner ce ne offre un ritratto appassionante tramutandola in un Mistero laico di affascinante introspezione.

 

Dove gli interpreti da Carlo Simoni alla giovane ed intensa Irene Villa sembrano, assumono e risolvono con impressionanti capacità mimetiche i difficilissimi ruoli di contorno di questo impressionante coro da Sacra Rappresentazione risolto in chiave laica apparendo e scomparendo come certe figure allegoriche di De Chirico. Quasi fossero dei reperti recuperati dalla memoria che vivono, soffrono ed agiscono eternamente giovani azzerando qualsiasi debito con l’età e gli anni che passano. A cominciare dalla protagonista, l’incantevole e dotatissima Patrizia Milani che appare a tratti quasi coetanea della donna amata dal figlio scomparso in un rimando esistenziale a due facce che ricorda in modo impressionante la psicologia deviata del duo femminile sartriano di A porte chiuse. Un’interpretazione da manuale che colloca di prepotenza l’attrice nella ristretta rosa delle attrici di punta della drammaturgia contemporanea grazie all’ appassionata aderenza critica a questo ruolo infido e solitario persino nel panorama delle esumazioni di classe. Che qui apparenta la sua Donna Anna Luna a un’altra Anna, quella della dannunziana Città morta che vorremmo tanto veder ricreata in futuro dal suo talento.

la vita che non ti diedi
 
 
 
 LA VITA CHE TI DIEDI – di Luigi Pirandello
 Regia di Marco Bernardi, scenografia di Gilbert Jaeckel, con
 Patrizia Milani. Teatro Stabile di Bolzano, al Teatro Carcano
 di Milano e poi in tour.