The Cyborgs: il blues che verrà

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Cyborgs

«Chi non balla non ha futuro». Un messaggio che giunge dal 2110, anno di fondazione dei The Cyborgs, duo romano potente e viscerale, arrivato sulla terra per smuovere le coscienze attraverso gli ideali del blues e del rock. «Siamo Cyborg O e Cyborg 1, come i simboli del codice binario che rappresentano l’inizio e la fine dell’uomo. Dal codice binario ha inizio l’era tecnologica. Ecco, è proprio con lo sviluppo tecnologico che l’uomo si autodistruggerà. Questo è il nostro messaggio», spiegano i due componenti. Vestono di nero, indossano maschere da saldatori, non si conosce la loro identità e spesso si esprimono in modo criptico, al contrario della loro musica che arriva diretta allo stomaco del pubblico, infiammando i palchi italiani da circa quattro anni. Cyborg 0 canta tramite un microfono fissato all’interno della maschera e suona in modo energico la chitarra, mentre Cyborg 1 si occupa della sezione ritmica suonando la batteria e tessendo in contemporanea le trame sonore con una tastiera. «Siamo la stessa cosa nello stesso tempo», dicono con voce metallica.

Nel maggio 2011 è uscito il loro disco d’esordio The Cyborgs per l’etichetta torinese Inri e dal quel momento non si sono più fermati, sfornando pezzi che affondano le radici nella musica black che va dagli anni ’30 ai ’70, rivisitata talvolta con sferzate più melodiche intervallate a un sound più duro ed elettronico. Accenni psichedelici, schitarrate rock and roll, echi del passato, tutto mischiato ad atmosfere futuriste fra richiami ad altri mondi e visioni distopiche del domani. Loro si definiscono “cyborg boogie”. «Abbiamo viaggiato e ora siamo tornati per cercare di trovare le informazioni necessarie per mantenere in vita il mondo attraverso il blues» sottolineano.

Nei brani che arrivano dal futuro cantano il loro pianeta, i cambiamenti della specie umana e tutto quello che viene sprecato per l’ingordigia dell’uomo moderno: «veniamo dal futuro nel presente per mantenere vivo il passato». Sono fautori di un ritorno alla semplicità, a tutte quelle cose che, come la migliore musica, arrivano al cuore. Qualcuno dice che indossino una maschera perché non tollerano la luce del sole e che non abbiano mai scrutato le stelle e il cielo. «Ci stiamo autodistruggendo. E questo è sotto gli occhi di tutti, anche se nessuno ne parla. Salviamo la nostra faccia», profetizzano. E allora che il blues del futuro ci protegga.