Tris di re, in scena l’irrazionalità del potere

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Allo Spazio Tertulliano di Milano debutta Kings – Il gioco del potere

KinkgsTeatro-557x262-salviRiccardo II, Enrico IV, Enrico V: tre personaggi shakespeariani attraverso i quali il regista Alberto Oliva illustra le dinamiche del potere e il loro eterno ritorno.

Nella drammaturgia di Michelangelo Zeno, i testi delle tre omonime tragedie di Shakespeare confluiscono l’uno nell’altro con naturalezza, senza cesure, delineando, nel percorso dei tre sovrani, l’evoluzione del concetto di potere. Enrico Ballardini è uno ieratico Riccardo II, che fonda la propria autorità sul diritto divino di cui si fregia. Eppure, proprio a lui toccano in sorte l’umiliazione dell’abdicazione e della prigionia e la cessione dello scettro al suo avversario, Enrico di Bolingbroke, poi Enrico IV. Interpretato da Giuseppe Scordio, il personaggio è il vero perno della storia. La sua parabola è il punto di svolta in seguito al quale il potere regale non si basa più sul diritto divino, ma sul consenso del popolo. Un consenso che si guadagna e si perde con la stessa irrazionale rapidità: gli alleati di oggi saranno i traditori di domani, i beniamini della massa da un momento all’altro ne diventano i capri espiatori. Tocca ad Enrico V (il poliedrico Angelo Donato Colombo) vendicare la morte del padre e raccoglierne l’eredità: in lui il popolo acclama la giovinezza, foriera di cambiamento. Ed è a questo punto che la rappresentazione, con uno scarto che rivela tutta l’attualità del testo, ci porta ai giorni nostri, dove il potere politico è marketing, la leadership si riduce a team building.

I riferimenti all’attualità innervano tutto lo spettacolo e prendono una forma concreta nella scenografia di Giuseppe Scordio e Saverio Assumma: una struttura di impalcature metalliche, su cui si riflettono le suggestive luci di Alessandro Tinelli. Un fitto reticolato di ponteggi, scale, assi e cavalletti metallici vanno a costituire un cantiere post-moderno che, come i cantieri di molte grandi opere sbandierate dalla politica, non arriva a edificare nulla. Anche i costumi, a cura della Sartoria Streghe&Fate, traghettano progressivamente la vicenda verso la nostra epoca, passando da tuniche, abiti e farsetti medievali ai moderni outfit di uomini e donne d’affari.

Il racconto di guerre, incoronazioni, tradimenti, omicidi è interpolato dagli intermezzi comici di Sir John Falstaff, dedito, come sempre, a vino, donne ed eccessi pantagruelici. Interpretato dal brioso Piero Lenardon, il personaggio, se da una parte sdrammatizza la vicenda, smorzandone i toni cupi, dall’altra veicola un ulteriore senso di inquietudine: è Falstaff, nella sua prima comparsa in scena, a smascherare la vacuità del potere, l’inarrestabile riproporsi delle sue dinamiche sanguinarie. É lui, vero rappresentante di quel popolo del cui consenso il sovrano necessita, a vedersi abbandonato dal giovane Enrico V, già suo compagno di scorribande. É attraverso di lui che la tragedia sfocia in commedia e la commedia del potere degenera in farsa.