I miei occhi cambieranno: far ridere con la malattia

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Fare commedia anche di momenti duri della vita

brancaccinoTeatro-557x262-mancini-La Compagnia If Prana porta in scena dal 14 al 16 Novembre 2014 al Teatro Brancaccino di Roma “I miei occhi cambieranno”. Tratto da “Certo che mi arrabbio”, ultimo scritto dell’attrice e autrice messinese Celeste Brancato, scomparsa nel 2009 dopo una lunga malattia, lo spettacolo vede protagonista l’attrice siciliana Federica De Cola, ultimamente al cinema nel film di Mario Martone “Il giovane favoloso”.

Il monologo ripercorre l’ultimo periodo della vita di Celeste Brancato, in un adattamento drammaturgico a cura di Giusi Venuti e Giampiero Cicciò «Ma non è del tutto corretto parlare di monologo – spiega Giampiero Cicciò, che ne ha curato anche la regia – infatti in questo spettacolo c’è mescolanza tra teatro di parola e teatro danza: ho voluto far lavorare l’interprete, Federica De Cola, sia con la sua anima che con il corpo, ricercando una rappresentazione molto evocativa. La protagonista balla, canta, “riempie” la scena – seppure essenziale – in modo che tutti gli oggetti ed i personaggi ai quali fa riferimento, si “vedano”».

Un tema come quello del tumore lascia presupporre toni tristi o patetici, invece a sorprendere è proprio l’abilità nell’affrontare la descrizione della condizione di “malata” con un atteggiamento ironico «Celeste era la mia migliore amica; con lei ho condiviso vent’anni di vita e di lavoro, innumerevoli spettacoli, lo stesso pianerottolo, la Bottega teatrale di Gassman. Questo atteggiamento ironico non si trova solo nella nostra rappresentazione teatrale – che, ovviamente, avrebbe desiderato lei stessa poter portare in scena – ma era proprio caratteristico della sua personalità e si riscontra già nel racconto da cui è tratta la drammaturgia di “I miei occhi cambieranno”. Era una donna che non si piangeva mai addosso ed ha saputo trovare la comicità, che era dominante persino sul dolore, in tante situazioni e personaggi che ha dovuto affrontare». Emerge, nella capacità di far sorridere e ridere il pubblico, un grido lanciato da chi non vuole vedersi costretto dalla malattia a perdere la “persona sociale” che è, per divenire un mero “caso clinico”, un numero in lista d’attesa o un corpo da esaminare e tenta, con caparbietà, di trasformare il dolore in evoluzione.

«Come titolo per lo spettacolo ho scelto una frase tratta dal racconto originale – aggiunge il regista – che fa riferimento a come, attraverso la malattia, la protagonista cambi il modo di vedere tante cose. Questo spesso avviene anche al pubblico che assiste alla rappresentazione: tra gli spettatori c’è stato un noto oncologo italiano che, in seguito, ha voluto togliere i numeri nel reparto dell’ospedale in cui lavora, preferendo, da allora, chiamare i pazienti per nome e cognome».