“Il mio primo set a 11 anni: La marcia su Roma”

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Oggi approda nelle sale il film Tre tocchi, di Marco Risi. Sorprendente, coraggioso, indipendente.

LEGGI L’INTERVISTA AI PROTAGONISTI DI TRE TOCCHI 

Di seguito l’intervista cult al regista, che racconta i giganti del cinema italiano.

anch’io ero OFF, al telefono con MARCO RISI!


Ci racconti un episodio off degli inizi della tua carriera?

Marco RisiLa mia prima volta sul set è stata nel 1962, a giugno. Avevo undici anni. Mio padre girava “La marcia su Roma”. Ero molto impressionato, mi piaceva moltissimo vedere queste cose finte che sembravano vere: per esempio c’erano dei contadini che tiravano i sassi a Gassman e Tognazzi e i sassi erano di gomma… loro erano tutti truccati, con delle ferite… si scopriva la finzione nella realtà. Era affascinante.

Hai potuto conoscere sui set di tuo padre, e poi anche su i tuoi, le icone del cinema italiano…

Quando ero ancora più piccolo, una volta venne a trovarci Alberto Sordi, che allora non conoscevo come attore, ma mi piaceva moltissimo perché era il doppiatore di Ollio. Mi disse: “Oh, non fare lo stupìdo”, con la voce di Ollio, e da quel momento cominciai ad amarlo. Lavorai con lui due volte, insieme a Carlo Vanzina. Abbiamo fatto insieme due film suoi: “Polvere di stelle” e “Finché c’è guerra, c’è speranza”. Sordi era veramente simpaticissimo.

Raccontami ancora un episodio di quando eri bambino…

Mi viene in mente “Poveri ma belli”… avevo cinque o sei anni e mi innamorai di Lorella De Luca, che interpretava Marisa, e conobbi anche Tognazzi. Una volta Rossano Brazzi venne a cena a casa nostra: si vantava dei suoi muscoli – era un grande seduttore e aveva avuto moltissime amanti a Hollywood – e la moglie, che era simpaticissima ma non era bella per niente, diceva: “Ha tutti i muscoli al posto sbagliato”… e poi Amedeo Nazzari, con lui arrivava un guardaroba di duecento vestiti elegantissimi… e Sordi, che lo imitava benissimo e amava fare gli scherzi, faceva la voce di Nazzari e telefonava continuamente alle due di notte a Mario Camerini, che stava preparando un film. Una volta si sono incontrati veramente, Camerini con la moglie e Nazzari con la moglie, e la moglie di Camerini ha preso da una parte Nazzari e gli ha detto: “Amedeo, capisco che stai passando un periodo difficile, ma non puoi svegliare Mario alle tre di notte, perché ha anche un’età!” e pare che Nazzari abbia detto: “Lo so io chi è quello, se lo pesco!”

Spesso i figli d’arte seguono le orme dei genitori. Quando hai deciso di voler fare il regista?

Mi piace pensare che avrei fatto il regista in ogni caso… Ero sugli otto, nove anni: mi piaceva guardare le cose e cercare di capire come rappresentarle in modo che avessero una loro originalità rispetto alla realtà. E poi sicuramente sono stato influenzato da mio padre, che tra l’altro era molto spiritoso, stare con lui era un piacere: vedere il lavoro che faceva, come si divertiva, come riusciva a creare qualcosa mi ha influenzato, anche se non andavo così spesso sui set. A un certo punto, cominciai a scrivere e gli proposi qualche gag per la sceneggiatura di “Profumo di donna”; lui le inserì e per me fu una grande soddisfazione, anche se non mi diede neanche mille lire. Fu in quel momento che capii che potevo fare qualche cosa, infatti scrissi con lui un paio di sceneggiature.

Chi furono i tuoi maestri, oltre a tuo padre?

Un film mi ha influenzato tantissimo: avevo undici anni e andai con mia madre a vedere “Il posto” di Ermanno Olmi. Mi impressionò moltissimo, ci vidi la rappresentazione di una realtà: c’era un ragazzo che cercava il posto di lavoro e una festa di Capodanno molto malinconica… ho capito che si poteva fare anche un altro cinema, rispetto a quello che vedevo quasi tutti i giorni nella sala parrocchiale: quasi sempre film western, o film di guerra o film comici. Poi, Billy Wilder è sempre stato uno dei miei preferiti. E Fellini, ma anche De Sica.

Sei passato dalla trilogia con Jerry Calà a film di impegno civile come “Ragazzi fuori”, “Il muro di gomma”, “Fortapàsc”… ma “Vado a vivere da solo”, “Un ragazzo e una ragazza” e “Colpo di fulmine” sono davvero tre film cult… come si prepara la commedia?

Veramente, volevo cominciare con “Colpo di fulmine”, in cui non era prevista la presenza di Jerry Calà, doveva essere il mio primo film. Scrissi il soggetto con Massimo Franciosa, era la storia di un trentenne nevrotico che trova l’unica persona che lo capisce in una bambina di undici anni, e se ne innamora come lei si innamora di lui. Mi sembrava una storia molto originale, fresca e strana, ma non riscontrò molta simpatia da parte dei produttori. Allora, Carlo Vanzina mi chiamò a fare il suo aiuto in “Eccezzziunale veramente”, e lì ho Diego Abatantuono, Jerry Calà, Claudio Bonivento. Pio Angeletti e Osvaldo De Micheli, che conoscevo già prima, si lanciavano in questo tipo di commedie nuove, e con loro, insieme ai Vanzina, decidemmo di fare “Vado a vivere da solo”, da un’idea di Enrico Vanzina. Lo scrivemmo insieme e con Jerry Calà: fu un successo, costò solo 600 milioni e incassò tre miliardi e mezzo. Poi abbiamo fatto “Un ragazzo e una ragazza” con Furio Scarpelli: era un maestro, da lui ho imparato tantissimo. Il risultato non è stato male per niente, la coppia era Jerry Calà – Marina Suma, che aveva fatto “Sapore di mare” poco tempo prima. Così finalmente mi fecero fare anche “Colpo di fulmine”. Non ci vedevo molto Jerry Calà, ma l’unico modo per farlo era con lui. E fu anche piuttosto bravo.

Ora, invece, hai appena finito di girare “Tre tocchi”, un’operazione molto OFF: è a bassissimo budget e non ci sono nomi famosi, però è fatto con il cuore…

… E tu ne sei anche coinvolto, perché hai fatto parte della Nazionale Italiana Attori, fondata nel 1970 da Pierpaolo Pasolini. Eri anche un bravo portiere. Sì, è un’operazione che mi sta molto a cuore, perché questo film è proprio come desideravo farlo: con pochi soldi e molta libertà. Io e questo giovane produttore, Andrea Iervolino, abbiamo fatto un film a basso costo che, vedendolo, non sembra assolutamente un film a basso costo. Voglio dimostrare che anche con pochi soldi si possono fare grandi film, e spero che “Tre tocchi” lo sia. Racconta le storie di sei attori: le gelosie, invidie, frustrazioni, dolori, la mancanza di denaro, il doversi adattare a fare anche un altro lavoro, l’amore, l’amicizia, il fatto di ritrovasi a giocare a pallone insieme… mi sono fatto raccontare dai ragazzi le loro storie. Alcune sono molto toccanti, ad esempio quella di Leandro, che deve tornare a Napoli ad affrontare il suo passato. Oppure quella di Max, che pensava di aver raggiunto il successo con una serie televisiva, e invece poi è stato costretto a fare l’acchiappino: quello che sta fuori dai ristoranti e cerca di acchiappare i turisti. A tutto questo il calcio fa da sfondo, come metafora della vita. Molto forte è l’energia che sprizza dagli attori: sono stati tutti pagati il minimo sindacale, ma sono stati molto contenti perché vedono in “Tre tocchi” una bella occasione. Poi ci sono nomi più importanti come Luca Argentero, Claudio Santamaria, Marco Giallini, Francesca Inaudi, Valentina Lodovini, Maurizio Mattioli, che sono venuti gratis a fare un cammeo perché hanno capito l’importanza di questa operazione.

In un’altra intervista, hai detto che “Il cinema verità non è vero. Meglio sia finto e artistico per rendere con più forza la vita”. Ne sei ancora convinto?

Condivido molto quello che aveva dichiarato Fellini: “Il cinema verità non mi interessa, io sono per il cinema bugia”. Nel momento in cui c’è qualcosa tra il tuo occhio e a realtà, già si sta facendo cinema. Bisogna sempre tenere presente che il cinema è una rappresentazione anche della realtà, ma la realtà è comunque filtrata, comunque finta. Ma non è detto che una cosa finta sia una rappresentazione meno vera della realtà.

E il Neorealismo?

Il Neorealismo era finto. Quando De Sica metteva un carrello per strada per una sequenza di “Ladri di biciclette”, e riprendeva la vita quotidiana delle persone, le azioni non erano più completamente vere ma reinterpretate. Infatti, un suo film meraviglioso, “Miracolo a Milano”, rappresenta la realtà ma non ha niente a che vedere con il Neorealismo. È una favola.

Quando uscirà nelle sale “Tre tocchi”?

In primavera, oppure il prossimo autunno. Poi vedremo se andrà mai a qualche festival.

Ti auguro un in bocca al lupo. Non vediamo l’ora dell’uscita del film, e spero che ci vedremo presto tra i pali.

Tre Tocchi Locandina

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